Il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari in Italia si avvicina. Elettori chiamati a esprimersi i prossimi 20 e 21 settembre
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Il referendum costituzionale del 20-21 settembre prossimi chiama gli elettori a esprimersi sulla diminuzione del numero dei parlamentari (per un totale di 345). In caso di vittoria del Sì i deputati scenderebbero a 400 (dagli attuali 630) e i senatori a 200 (da 315). In tutto, un terzo della composizione dell’assemblea legislativa, che oggi conta 945 rappresentanti eletti.
In buona sostanza, le motivazioni a sostegno del Sì: abbiamo troppi parlamentari, con il risultato che le spese del Parlamento sono molto elevate e senza che questo si risolva in efficienza legislativa. Le ragioni a sostegno del No: diminuire il numero dei parlamentari significa avere Camere meno rappresentative.
Sembrava scontata una vittoria del Sì fino a qualche mese fa causa, forse, la soffiata arrivata dall’Inps sui famosi “furbetti” (i parlamentari che hanno chiesto il contributo di 600 euro), ma ora la vittoria del Si non è scontata. Chissà….
Vale la pena spendere due parole sulle ragioni per il Sì e per il No.
Chi sostiene il Sì sostanzialmente avanza tre ordini di ragioni: primo, in Italia abbiamo più parlamentari delle altre democrazie europee (cosa non proprio totalmente vera), potenzialmente rendendo più visibile il ruolo dei parlamentari, che pertanto sarebbero chiamati ad una maggiore responsabilità nei confronti degli elettori, migliorando la qualità della democrazia italiana. Secondo: ridurre il numero dei parlamentari comporterebbe un risparmio di spesa pubblica (zero in confronto ai veri sprechi). Terzo: avviare un processo di riforme costituzioni.
Partiamo dalla riduzione del numero dei parlamentari cosi come concepita lascerebbe al Parlamento successivamente il compito di modificare gli assetti istituzionali coerenti con tale riduzione (a partire dal bicameralismo perfetto, ecc.).
Proprio questo non secondario aspetto porta acqua al mulino del fronte del No. Esiste più di un dubbio riguardo alla capacità di accordarsi sulle necessarie riforme istituzionali che dovrebbero accompagnare una vittoria del Sì al referendum. Con il rischio non di generare una riforma monca, bensì inutile, se non addirittura dannosa, per la qualità del funzionamento di un Parlamento chiamato ad agire esattamente come prima, ma con la metà dei suoi membri. Perché il rischio concreto è che la vittoria del Sì andrebbe esattamente contro gli auspicata di chi sostiene il Sì: dato che non solo ridurrebbe la responsabilità dei deputati (altro che aumentarla), ma anche rinvierebbe alla sede parlamentare il momento della formazione del governo, facendo così venire meno una delle poche cose politicamente valide della Seconda Repubblica: la possibilità da parte dei cittadini, al momento del voto, di scegliere non solo un partito, ma anche una coalizione di governo. Per non parlare del fatto che interi territori italiani non troverebbero rappresentanza in parlamento senza una vera e buona riforma elettorale.
Chi sostiene il No, invece, teme in particolare due conseguenze: la penalizzazione delle Regioni più piccole, che esprimendo meno parlamentari sarebbero meno rappresentate; un Parlamento meno rappresentativo della popolazione.
Le ragioni ideologiche dietro ai due schieramenti sono invece ben note: il voto per il Sì, è un voto contro la casta. Il voto per il No, è un voto per salvaguardare la costituzione più bella del mondo. Entrambe le ragioni sono assolute, quindi inattaccabili ma la democrazia del nostro Paese va difesa senza demagogia e luoghi comuni.