Da qualche anno singole sezioni, scuole o docenti stanno provando a introdurre la valutazione con il solo giudizio descrittivo
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In una intervista pubblicata di recente sulla “Stampa” la professoressa Ernestina Morello, insegnante di un liceo scientifico di Torino, si è espressa contro i voti numerici, dichiarando che “i voti danno ansia ed appiattiscono”. La professoressa Morello ha aggiunto che introdurrà le “valutazioni discorsive con spiegazioni per gli studenti”.
È una buona notizia, ma…nelle cose migliori c’è sempre un ma…Matteo Salvini, uomo noto per la sua ampia preparazione culturale, per la sua eminente esperienza didattica e per la sua ampia conoscenza della pedagogia, alle dichiarazioni della professoressa Morello ha risposto: «Da papà non sono assolutamente d’accordo con questa prof! Togliere il merito e appiattire non fa il bene dei ragazzi, che non possono essere viziati e promossi a prescindere da studio e impegno».
Ancora una volta il “ducetto” ha perso una ottima occasione per evitare di riempire l’aria di inutile fiato sonoro. Ora, si può anche dire che Salvini non aveva la pretesa di parlare da esperto di didattica o di pedagogia ma solo “da papà”, appunto, ma l’essere un semplice “papà” non giustifica la sua presunzione senza limiti, perché in questo caso proprio di presunzione si tratta, nel senso letterale che Salvini presume di conoscere argomenti dei quali non conosce nemmeno l’indirizzo di casa. Gli studi e le sperimentazioni nel mondo dicono infatti l’esatto contrario di quello che egli ha inopinatamente affermato e cioè che senza voto l'apprendimento migliora.
Nella lontana Finlandia, fino ai tredici anni, gli studenti non hanno voti, né possono essere bocciati. L’apprendimento è basato sul benessere mentale e fisico dello studente. Esami e prove sono in secondo piano. Per chi non raggiunge i risultati richiesti sono previste forme di supporto individuale. In Finlandia sono obbligatorie pause di quindici minuti tra le lezioni, gli spazi sono organizzati per indurre gli studenti a concentrarsi ed i compiti vengono svolti a scuola. Gli studenti finlandesi registrano punteggi superiori alla media OCSE in lettura, matematica e scienze.
Anche in Svezia, fino all’età di dodici anni, gli studenti non sono valutati ma solo osservati. E sul serio. Dal 1968 non esiste più una prova alla fine delle superiori. Per terminare gli studi obbligatori basta un giudizio positivo dei propri insegnanti. La didattica svedese, come è noto (anche se, certo, non a Matteo Salvini), è induttiva ed appoggia sullo studio guidato. Per giunta l'anno scolastico svedese dura meno del nostro: centosessantotto giorni contro i nostri duecento. Perfino negli Stati Uniti, dove il senso della gerarchia sociale, le classifiche e le graduatorie di chi-è-più-bravo sono fenomeni molto più pervasivi, in stati come il Vermont, il Maine ed il New Hampshire, hanno approvato leggi che invitano i dirigenti scolastici a introdurre gradualmente il sistema di valutazione senza voto. Anche quaranta scuole di New York stanno sperimentando la didattica senza voti, con ottimi risultati.
In una di queste scuole sono stati appesi cartelli come "Fallire dimostra che ci stai provando" o “Sbagliare è la chiave per avere successo”. Non è poco in un paese dove ogni tanto c’è qualche picchiatello che si mette a sparare perché ha “fallito” e si sente un “perdente”. Personalmente, da modesto insegnante di una modesta scuola media della più modesta provincia del Sud, le valutazioni discorsive sono una cosa che ho sempre fatto, sotto forma di valutazioni discorsive scritte e vergate di fronte agli studenti immediatamente dopo la prova di verifica, anche dopo il 2007, quando la riforma – anzi la “deforma” – Gelmini ha malauguratamente reintrodotto l’obbligatorietà del voto numerico e questo esercizio di trasparenza non è stato più obbligatorio
Come insegnante ho sempre condiviso - con pochi, per la verità - una visione di scuola nella quale l’apprendimento fosse basato non solo sulla buona salute mentale e fisica dello studente, ma sul principio di “piacere dell’apprendimento”, privilegiando la valutazione della qualità del processo di crescita e tenendo in secondo piano i risultati di compiti, interrogazioni e prove varie, in particolare le fessaggini dell’Invalsi, ma soprattutto praticando da sempre lo studio guidato. Ed anche io, nel mio piccolo, ho sempre fatto lavorare i ragazzi a scuola e non a casa. Ma lavoro in Italia, dove il voto lo devo mettere, con tutte le contraddizioni del caso.
Per esperienza personale posso dire che il voto non solo non è vera valutazione e distrae dalla concentrazione sullo studio, ma è un ostacolo al modo di pensare creativo e critico, perché i ragazzi, quando sono ossessionati dalla “prestazione” funzionale al voto, cioè quasi sempre, tendono ad uniformarsi, in maniera piatta ed impersonale, agli standards relativi al singolo voto desiderato, per cui, in definitiva, quando si privilegia questa pessima docimologia e non la valutazione vera, i buoni voti vengono dati a coloro che sono più esperti nel conformarsi alle aspettative di chi detiene l’autorità, non necessariamente ai più bravi. La competizione tra studenti, che viene così caldamente raccomandata, genera stress ed è proprio lo stress ad abbassare la qualità dell’istruzione.
Ma, come si diceva, ci sono buone notizie.
Da qualche anno singole sezioni, scuole o docenti stanno provando a introdurre la valutazione con il solo giudizio descrittivo. Alcune scuole superiori di Torino, l’Istituto “Marco Polo” di Firenze, il Liceo “Cannizzaro” di Palermo, il Liceo scientifico “Bottoni” di Milano ed il polo scolastico “Volta” di Piacenza hanno scelto di puntare su una sperimentazione che in realtà ha già visto i suoi frutti.
Vincenzo Arte, docente di matematica e fisica al Liceo “Morgagni” di Roma, autore del libro "Crescere senza voti", sottolinea che eliminare i voti comporta una nuova metodologia didattica basata sul lavoro cooperativo, sulle relazioni all’interno del gruppo classe e sullo sviluppo delle competenze trasversali: «Spesso gli studenti si concentrano solo per ottenere un voto e, raggiunto l’obiettivo, dimenticano gran parte di quello che hanno appreso», dichiara, «Senza voto, invece, i ragazzi sono più attivi e stimolati. Si divertono, seguono con interesse e imparano a cooperare piuttosto che a competere. E poi un voto è spesso riduttivo per uno studente, invece con la valutazione descrittiva si inserisce il ragazzo, o la ragazza, all’interno di un percorso e tutto è orientato alla preparazione, non al voto. Gli studenti crescono quindi in un clima di fiducia, con grande consapevolezza. Molti di noi hanno vissuto la scuola come sofferenza, e ancora oggi per tanti studenti andare a scuola non è piacevole. La scuola senza voti, invece, ha l’obiettivo di essere una scuola amata dagli studenti, una scuola in cui i giovani entrano in classe senza l’ansia di essere giudicati». Le parole di Arte sono confermate dai dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), secondo cui oggi l’87 per cento dei giovani non ama la scuola e, tra i quindicenni, la percentuale sale ad uno sconcertante 94 per cento.
Cristiano Corsini, professore di Pedagogia sperimentale e valutazione scolastica all’Università Roma Tre ed autore del libro "La valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto", aggiunge: «L’idea che il voto serva a educare è un errore di prospettiva storica. Il voto nasce per selezionare, non per educare. (…) Il voto fa comodo ad una classe politica che non investe sulla qualità della formazione del docente. Una scuola con i voti è una scuola che si sposa con una bassa qualità della formazione dei docenti. (…) Nella valutazione descrittiva il potere valutativo è distribuito tra docente e studente. Il docente mantiene il potere valutativo, ma lo condivide con lo studente. E lo studente sarà, con ogni probabilità, un soggetto in grado di leggere la società in senso critico e trasformativo. Chi ha una visione conservatrice della società, anche se si definisce di sinistra, pensa invece che senza voto l’insegnante possa perdere potere».
Purtroppo invece l’attuale governo di destra sta focalizzando la sua azione proprio sul voto come strumento “disciplinare”, concezione che purtroppo ha ripreso piede con la sciagurata reintroduzione del voto di condotta. I Fratelli d’Italia vorrebbero tornare al voto numerico anche nella scuola primaria, in nome dei più tristi luoghi comuni sulla “scuola del merito” e sui “voti che preparano al futuro”. Sorvolando, per carità di Patria, sulle recenti amenità incompetenti della sottosegretaria all’istruzione Paola Frassinetti e della senatrice Ella Bucalo su questo argomento, è ovvio che il voto e la valutazione descrittiva attengono a due modelli sociali opposti. Lo capirebbe anche un bambino, o forse soprattutto un bambino, perché di molti adulti c’è da dubitare.
Quello del voto è il modello della competizione, prima scolastica e poi sociale, quello che mette in relazione gli studenti prima ed i cittadini poi come centometristi che devono fare a chi arriva prima, con l’insegnante spara il colpo di pistola in aria ed è completamente deresponsabilizzato, perché l’ultimo classificato sarà una “vite storta” di cui dovrà occuparsi qualcun altro.
Ma, a meno di non essere degli impenitenti nazi-fascisti, noi sappiamo che non si può fare correre i cento metri piani a chi è zoppo e che anche lo zoppo ha diritto di arrivare al traguardo. Ecco perché non bisogna correre l’uno contro l’altro, ma camminare insieme e sui passi dell’“ultimo”, non del “primo”, per arrivare al traguardo insieme. La scuola dei voti forma “cavalli da corsa”, arrivisti, opportunisti, carrieristi, furbetti o conformisti del tutto passivi socialmente.
Una scuola senza voti, con un diverso sistema di valutazione, prefigura invece una società di personalità libere, che avranno un ruolo in un contesto democratico e saranno in grado di partecipare attivamente alla vita sociale e culturale del paese. Speriamo che quella che si fregia abusivamente della definizione di "sinistra" non trovi troppo "novecentesca", o magari "tardo-sessantottina", questa battaglia, che è culturale perché politica ed è politica perché culturale.