Tra poco più di cinquanta ore, cioè alle 4.30 del cinque settembre, saranno ormai cinquant'anni anni che separano l'assalto - a mo’ di blitz - compiuto dai palestinesi di Settembre Nero ('organizzazione militare' d'elite, fondata anche da Ali Hasan Salameh).

Essa, quindi, era una struttura in capo alle milizie dei fedayn fedeli ad Arafat, proprio per 'la resistenza' del loro popolo, pur se operava al di fuori della 'giustificatio', secondo i nostri corretti canoni, ovvero quelli della comunità internazionale. Tanto è vero ciò, che uno degli 'eventi' più traumatici fu, per l'appunto, contro la delegazione olimpica israeliana, la quale partecipava ai giochi di Monaco di Baviera.

Purtroppo, come tutti sanno, finì in un 'bagno di sangue', in quanto i palestinesi, durante un 'passaggio organizzato' dalle autorità dell'allora Germania Federale (pure conosciuta come Germania Ovest) con la supervisione, al tempo coevo di Hans-Dietrich Genscher, ministro degli Interni (ed in seguito degli Esteri, nei Governi retti da Helmut Khol), oltre alla presenza del direttore del Mossad Zvi Zamir, colà giunto, appositamente.

Difatti, nel tentativo di liberare gli ostaggi, i palestinesi, giunti in elicottero dal villaggio olimpico sino ad un aeroporto militare nei pressi della città bavarese, si accorsero per tempo di quanto stava accadendo loro e fecero esplodere delle granate dentro l'abitacolo dove stavano i ginnasti israeliani, per poi, gli stessi seguaci di Arafat, essere uccisi dalla locale polizia, con le forze speciali, allocate sul luogo.

Orbene, mi si perdonerà suddetta perifrasi dettagliata, poiché sembra di assistere ad un paradosso della storia, non foss'altro per le date quasi coincidenti, a fronte del tragico 'anniversario', poiché la giornata di ieri, 2 settembre 2024, sarà ricordata, se non per sempre, certamente a lungo, nella storia di questo Paese, cioè Israele.

Difatti, mai si erano 'accavallati' due avvenimenti talmente deflagranti, i quali riporto e analizzo, immediatamente di seguito: 1) la manifestazione, con relativo sciopero generale, avverso il primo ministro in carica (da tempo immemore contestato dalla maggioranza dei cittadini); 2) il 'richiamo' dell'attuale presidente Usa, quasi fosse un atto di accusa, nei confronti dello stesso premier israeliano, per il naufragio ormai evidente delle trattative di pace, che erano in corso.

A ciò aggiungasi altri tre elementi non da poco, ovvero quanto il tutto accade in cogenza bellica - quindi è la prima volta in Israele - cioè una contestazione divisiva e furente tra popolo e politica (nel caso di specie, verrebbe da definirlo il 'politicume' cruento, effimero e interessato, pro domo sua chiaramente, cioè di Netanyahu), come, parimenti risulta incredibile, eccezionale e assolutamente fuori dal comune, l''utilizzo', del primo ministro dello Stato ebraico, proprio della magistratura (in questo caso del lavoro), al fine di disporre, con tanto di ordinanza immediatamente esecutiva, la cessazione dello sciopero medesimo.

Senza obliare che proprio all'appropinquarsi della drammatica ricorrenza menzionata e descritta in incipit, sempre Netanyahu, ha scelto queste ore, per presentarsi in tv, dichiarando in modo fermo ed autoritario (sarà persino scriteriato?) - al netto della sua solita 'perentorietà' - che mai avrebbe 'ceduto' al pressing internazionale di ritiro, seppur parziale, dai territori concessi ai palestinesi (a seguito degli accordi di Oslo del 20 agosto 1993 ) e neanche minimali concessioni alla controparte.

Il tutto va inquadrato nel contesto bellico in corso, quindi, nonostante vi siano ancora degli ostaggi israeliani in mano ad Hamas.

Insomma, 'Mister Morte', cioè il termine con cui in Israele oramai appellano inesorabilmente (e giustamente?) - secondo il punto di vista dei parenti delle vittime e dei rapiti - proprio l'attuale e pro tempore (ma sempre più in bilico) primo ministro, lui stesso, si ritrova, adesso, in una condizione totalmente isolata, da qualsivoglia punto di vista la si prenda in esame, cioè non solo all'estero con i tradizionali alleati e 'protettori' (gli Stati Uniti), bensì persino in Patria.

Tra l'altro, a peggiorare la situazione, sono financo usciti sulla stampa nazionale ed internazionale, gli audio dell'incontro avvenuto tra Netanyahu e i sequestrati rilasciati dai palestinesi o liberati dalle forze speciali, durante il quale, si palesa la freddezza con cui si rapportava nei loro confronti o l'improvvida 'uscita' della stessa consorte -presente assieme al marito - che a sua volta si lagnava di quanto la sua vita fosse divenuta «assurda, a seguito del matrimonio» (testuali parole, sic).

Inutile descrivere la reazione degli astanti, poiché uno di essi, ovvero una donna, prontamente le risponde «anche la mia vita è assurda, da quando ho subito simile violenza psicologica, dopo il forzato prelevamento del 7 ottobre», tanto per illustrare il clima del confronto con il premier, il quale - per come riportato - avrebbe dato l'assenso a suddetto colloquio, più per atto dovuto e giammai sentito.

Adesso, perciò si apre una fase delicata, persino all'interno di Israele, laddove durante la riunione della scorsa settimana, in pieno Consiglio di Governo (nonché Gabinetto di Guerra), anche il ministro della Difesa Yoav Gallant ha urlato in faccia al suo premier, che così facendo avrebbe condannato a morte tutti coloro i quali sono ancora nei sotterranei della pericolosa 'Metropolitana di Gaza'.

Ordunque, si avvicina, quindi, la possibilità non più peregrina, di assistere al dimissionamento forzato, seppur democraticamente compiuto (o da compiersi), del primo ministro Netanyahu, sempre più considerato 'ostacolo' alla pace per il Paese, benché intenzionato a proseguire, nella sua volontà di guerra e sangue, pure al fine di sfuggire alle di lui inchieste giudiziarie.

E siffatto dimissionamento o tali dimissioni che sarebbe costretto a subire o presentare, sarebbero un precedente epocale in Israele, ovvero avverrebbe ciò, per la prima volta, durante una guerra in corso.