Siamo alle solite. È una specie di riflesso condizionato. Quando esplode una guerra, che per definizione è lurida, rovinosa e chi più ne ha più ne metta, la politica ed i suoi megafoni nei mass media si affrettano ad inscenare il gioco dei buoni e dei cattivi.

È stato così l’anno scorso, all’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, è così adesso, con il conflitto tra Israele e Palestinesi, che peraltro ha radici molto più lunghe e complesse.

Si sa, le masse non amano i ragionamenti troppo complicati, per cui forse è meglio, soprattutto per chi detiene un potere anche minimo, spiegare loro con chiarezza per chi devono fare il tifo e chi devono demonizzare. E qui gli Israeliani sono i buoni ed i Palestinesi sono i cattivi.

Ma, come prima cosa, sarebbe ora di dire - e soprattutto interiorizzare - due semplici ed elementari verità. Primo, in una guerra, soprattutto dopo quello che è diventata dopo lo spartiacque atomico, non ci sono buoni ma solo cattivi. Secondo, una guerra rende più poveri, da ogni punto di vista, tutti, sia chi, in senso relativo, ha ragione, sia chi ha torto.

Ma facciamolo pure questo gioco dei buoni e dei cattivi e vediamo perché proprio non funziona.

È fuori di dubbio che l’aggressione improvvisa e proditoria di Hamas ad Israele annoveri Hamas tra i cattivi, non solo per la follia suicida dell’azione in sé, ma anche per le punte di ferocia inaudita che essa ha toccato, soprattutto con l’abominio dei bambini decapitati. Semplicemente non è possibile spacciare questo orrore per “guerra di liberazione” o “rivoluzione”, in qualsiasi senso intese. Ma come possono i bombardamenti terroristici effettuati sulla striscia di Gaza ed addirittura la distruzione di un ospedale annoverare Israele tra i buoni? Perché tagliare la testa ad un bambino è barbarie ed ucciderlo con un bombardamento o facendogli mancare cure mediche non lo sarebbe?

Siamo talmente assuefatti allo “spettacolo” osceno della guerra che pochi devono essersi accorti della enormità della richiesta di evacuazione rivolta da Israele ai Palestinesi di Gaza per permettere il “regolare” svolgimento delle operazioni militari, un discorso del tipo “Spostatevi un momento che vi dobbiamo distruggere case, scuole ed ospedali ma non vi vogliamo fare male, perché noi siamo gente civile”. Nelle televisioni di tutto il mondo l’israeliano Ehud Barak viene presentato come un uomo di buon senso perché ammette che bisogna riprendere la discussione su un vero stato palestinese, ma in definitiva dice: “Prima però dobbiamo vincere la guerra”, cioè, in soldoni, “Prima distruggiamo e poi discutiamo”. E questi sono i migliori.

Non è dunque uno scontro tra civiltà israeliana e barbarie palestinese quello a cui stiamo assistendo, ma una guerra tra due barbarie. Ma, c’è da chiedersi con Bertolt Brecht, quale ventre ha partorito il mostro?

Per rispondere a questa domanda bisogna ricordare che c’è stato un tempo, nella prima metà degli anni Novanta del Novecento, in cui la situazione era l’opposto di quella attuale. Yitzhak Rabin, il premier israeliano dell’epoca, intraprese una svolta senza precedenti, riconoscendo la legittimità dell’esistenza di uno stato della Palestina e ricordando, con l’Ecclesiaste dell’Antico Testamento, che c’è un tempo per la guerra ed un tempo per la pace. Yasser Arafat, capo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, allo stesso modo intraprese una svolta senza precedenti, riconoscendo la legittimità dell’esistenza di uno stato di Israele, che fino a quel momento, tra le quattro componenti interne dell’Olp, era riconosciuta solo dal minuscolo Partito Comunista palestinese. Le trattative cominciarono informalmente ad Oslo e si conclusero formalmente a Washington, dove fu costituita una Autorità Nazionale Palestinese, concepita come primo passo del passaggio dall’autonomia amministrativa – tuttora esistente, anche se non si sa bene fino a quando – alla vera indipendenza.

Poi l’illuminato Rabin venne eliminato dalla potentissima destra israeliana e lo stato di Israele progressivamente si riprese tutti i territori che inizialmente aveva concesso all’Anp ricacciando i Palestinesi nella striscia di Gaza, dove adesso cadono le bombe. Ma soprattutto Israele fece due scelte sciagurate e sconsiderate. La prima fu quella abbandonare la politica di Rabin, rinviando “sine die”, se non proprio accantonando definitivamente, il problema dello stato di Palestina e la seconda fu l’umiliazione e la liquidazione dell’Olp di Arafat, bollata arbitrariamente come un “pericolo” per la propria sicurezza nazionale. Questa seconda scelleratissima scelta ha cancellato così l’unico interlocutore con il quale una mediazione dignitosa sarebbe stata possibile ed ha distrutto la Palestina laica, nella quale anche la minoranza cristiana avrebbe avuto un suo ruolo di non poco conto.

I risultati di questa sconcertante pochezza sono sotto gli occhi di tutti. Tra i Palestinesi sono prevalsi da tempo i tagliagole sanguinari di Hamas, che mortificano la causa palestinese e lo stesso Islam trasformando l’una e l’altro in terrorismo e tra gli Israeliani è prevalsa la destra più ottusa, che utilizza questo terrorismo per liquidare una volta per tutte il problema palestinese, magari con una bella “soluzione finale”, ovviamente di tipo militare.

Oggi purtroppo abbiamo il triste spettacolo di due popoli che esprimono il peggio di sé stessi, che non sanno ragionare se non in termini di guerra, che non sanno concepire la propria sicurezza e la propria sopravvivenza se non in termini di completa distruzione del nemico.

Chi oggi, con troppa disinvoltura, identifica la causa della Palestina con Hamas, deve considerare che la eventuale vittoria della Palestina così come la vuole Hamas sarebbe la vittoria di uno stato confessionale, in cui prevarrebbe il più fanatico ed intollerante integralismo religioso, non quello stato laico e perfino socialista che le varie componenti dell’Olp avrebbero voluto a suo tempo.

Chi non vede che le ragioni di Israele deve, allo stesso modo, considerare che la risposta ad Hamas in termini di pura repressione militare è il modo migliore di perpetuare una situazione di guerra senza fine e di negare dunque, ad Israele stessa, la possibilità di una effettiva sicurezza nazionale.

La situazione attuale purtroppo rischia di durare ancora a lungo ma, per quanto sangue innocente la stupidità dei due simmetrici integralismi nazional-religiosi potranno ancora versare, l’unica soluzione razionale resta quella di ridare voce a tutte le componenti sociali e politiche del Medio Oriente ed arrivare, attraverso una trattativa che sarà lunga e dovrà essere molto paziente, ad uno stato libero di Palestina, uno stato, non una nuova “autorità nazionale” di cui i Palestinesi non sanno che fare e che gli Israeliani sarebbero liberi di schiacciare a piacimento con qualsiasi pretesto. Non sarà una via facile, se qualcuno la intraprenderà, ma non ne esiste un’altra.