Le rivelazioni di Luca Palamara hanno fatto emergere i giochi di potere in materia di nomine e avanzamenti di carriera dei magistrati. Con il referendum che si terrà in primavera potremo cambiare le cose
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Le rivelazioni di Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, hanno fatto emergere, agli occhi della pubblica opinione, la presenza delle correnti all’interno del Consiglio superiore della magistratura e dei giochi di potere in materia di nomine ed avanzamenti di carriera. Non che non si sapesse anche prima dell’esistenza delle fazioni in lotta per il potere all’interno della magistratura e le contiguità pericolose con il mondo della politica, ma forse l’opinione pubblica non aveva consapevolezza della permeabilità dei giudici riguardo alcune dinamiche che sono patrimonio dei politici, anziché di coloro che devono giudicare della vita dei cittadini caduti nel tritacarne dei kafkiani procedimenti penali del nostro paese.
L’ex Presidente della Repubblica Napolitano aveva condannato pubblicamente e con parole molto dure il fenomeno del “correntismo” all’interno della magistratura, soprattutto per i suoi collegamenti con la politica, invocandone l’abbandono, definendo le decisioni del Csm come «malsani bilanciamenti tra le correnti» e come il risultato di «pratiche spartitorie rispondenti a interessi lobbistici, logiche trasversali, rapporti amicali o simpatie e collegamenti politici».
Il “correntismo” esiste nell’ambito del Csm in quanto è assente qualsiasi valutazione o graduatoria di merito relativa all’attività svolta dai magistrati, questa situazione rende formalmente tutti i magistrati altamente qualificati e di indiscutibile diligenza. Pertanto le scelte del Csm sono molto spesso caratterizzate da ampi margini di discrezionalità, una discrezionalità che ha generato e consolidato nel tempo il “correntismo” e le disfunzioni.
Dunque l’assenza di una valutazione riguardante la professionalità dei giudici che sia attendibile, cosi come l’inesistenza di una graduatoria di merito, fa dipendere l’avanzamento di carriera dei candidati dall’efficace supporto dei rappresentanti della corrente a cui gli stessi candidati appartengono, rappresentanti di corrente che siedono in Consiglio, persuadendo quindi i magistrati a considerare l’appartenenza alle correnti come presupposto necessario per ottenere decisioni del Csm a loro favore. Ovviamente tale situazione provoca uno spropositato ricorso al giudice amministrativo da parte dei candidati che non hanno visto soddisfatte le loro aspirazioni, con sentenze amministrative che molto spesso costringono il Csma cambiare le decisioni assunte.
Il sistema delle correnti va spezzato, con l’abrogazione dell’obbligo, per un magistrato che voglia essere eletto al Consiglio superiore della magistratura, di dover reperire da 25 a 50 firme per presentare la candidatura. L’attuale obbligo impone a coloro che si vogliano candidare di ottenere l’attenzione ed il credito delle correnti oppure di essere iscritti ad una delle correnti come ci si iscrive ad un partito. È necessario tornare alla legge originale del 1958, che prevedeva che tutti i magistrati in servizio potessero proporsi come membri del Csm presentando semplicemente la propria candidatura senza raccogliere firme molto spesso procurate dalle correnti. Ci sarebbero così votazioni trasparenti che pongono al centro della sfida elettorale per il Csm, il magistrato e le sue qualità personali e professionali, non gli interessi delle correnti o il loro orientamento politico.
Con il referendum che si terrà in primavera il popolo italiano potrà colpire il “correntismo” e il condizionamento della politica sulla giustizia, riformando il Consiglio superiore della magistratura, riuscendo a fare, dal basso, ciò che la classe politica, dall’alto, non è riuscita a fare a causa del timore reverenziale nei confronti della casta dei giudici.