Francesco Ferrise un ragazzo coraggioso che sfida la disabilità e lotta per una vita più giusta, uguale per tutti. Non ama essere considerato ‘diverso’ e teme la «corrente exonofoba sempre più dominante». Nei giorni ha presentato il suo libro “Io e la mia distrofia” a Cosenza.

Francesco, sei tornato per un giorno nel tuo vecchio Istituto per Geometri di Cosenza. Cos’hai provato nel rivedere i tuoi docenti?
Ritornare nella mia ex scuola è stato un mix di emozioni. È il luogo in cui mi sono formato ed ho avuto affianco dei docenti di grande spessore umano che mi hanno insegnato tanto.

Perché questo libro? Cosa hai inteso raccontare?
«Ho scelto di intraprendere questa strada modo da sensibilizzarle sul rapporto con la disabilità e con chi la vive ogni giorno sulla propria pelle, molto spesso emarginato e incompreso dalla società, per via di una cultura dell’incontro con il “diverso” minacciata da una corrente xenofoba sempre più dominante. Questo è il mio piccolo contributo verso una società in cui la diversità possa diventare un valore aggiunto, in grado di creare quella sensibilità di cui troppo spesso ci dimentichiamo».

Quando hai preso coscienza della tua malattia? Cos’hai provato?
«Se non accettiamo noi stessi, non importa se affetti da qualche malattia o meno, non potremo mai riuscire a vivere in serenità. Dunque con consapevolezza, si accettano i propri limiti e così si va avanti, orientandosi con quelle che sono le proprie capacità. Altrimenti, gli anni andrebbero avanti e noi, al contrario, saremmo sempre bloccati, senza vivere appieno la vita, procedendo avanti soltanto per inerzia e aspettando finisca tutto il prima possibile».

Oggi come ti senti ad affrontare le enormi difficoltà quotidiane?
«Oggi mi sento sereno poiché nonostante tutte le difficoltà ho trovato la mia strada che è quella di portare avanti la mia battaglia per sensibilizzare l'argomento della disabilità».

Dopo il diploma, la laurea. Quanto è importante studiare per un ragazzo come te?
«Il percorso scolastico è sicuramente una di quelle cose che permette ai ragazzi come me di socializzare con altri bambini, tanto importante quanto la formazione appresa a scuola».

Il rapporto con la mamma?
«Le sono grato per tutto ciò che fa per me. Litighiamo spesso, per ogni stupidaggine, soprattutto perché io sono molto orgoglioso e non digerisco ancora il dover dipendere da lei come un ragazzino e, molte volte, nelle discussioni, volano parole di cui ci pentiamo giusto qualche ora dopo».
 

E con il papà? Nel libro accenni a difficoltà nel rapporto.
«Il rapporto fra me e lui, negli anni successivi, l’ho voluto sempre definire essenziale. Le poche volte in cui parliamo lo facciamo soltanto se è strettamente necessario e per cose di cui non potrei fare a meno senza l’aiuto di un’altra persona, come, per esempio, andare in bagno o prendere in mano qualcosa. Il passare degli anni non ha mai cambiato in modo in cui noi interagiamo».
 

Se ti dovessi descrivere, se dovessi raccontare com’è la tua vita, cosa diresti?
«Io in questo momento della mia vita direi che sono sereno e per ora è la cosa più importante per me».

Non c’è modo per descrivere questo ragazzo, così attento, sensibile, colto, coraggioso. Non si è mai dato per vinto. Ha sempre lottato per sconfiggere gli ostacoli e i pregiudizi della nostra società. Non ha mai accettato i limiti, ma ha combattuto per superarli. Non chiede nulla, solo di essere considerato uno dei tanti.
Ecco, Francesco le sue battaglie le ha già vinte tutte.