Don Ennio Stamile un prete impegnato, sempre in primo piano quando si è trattato di lottare contro la criminalità e l’illegalità diffusa, e quando si tratta portare sostegno concreto e solidarietà agli ultimi della terra.

Don Ennio è appena tornato dall’Africa, l’ennesimo viaggio fra quanti vivono del nulla.

Ma è Pasqua anche per loro, don Ennio?
«Sì, certamente. Loro la vivono e la sperimentano ogni giorno meglio di noi nella gioia di vivere l’essenziale e nella capacità di saper sempre andare oltre».

In quali paesi è stato? Chi ha incontrato?
«Sono stato in Benin. La nostra Associazione di volontariato, la San Benedetto Abate, vi opera da circa quindici anni con diversi progetti. Seguiamo un orfanotrofio nel Villaggio di Sakété ai confini con la Nigeria. Circa quaranta bambini con storie drammatiche di abbandono e di violenza a volte domestica per le ragazzine, vengono accolte da alcune suore agostiniane che vi operano confidando unicamente nella Provvidenza».

Ovviamente non ci sono contributi statali
«Ecco perché la nostra presenza è importante. Li seguiamo tutti specialmente i casi più complicati. Quest’anno alcune ragazze che hanno raggiunto la maggiore età debbono lasciare quel luogo che per loro è stato tutto: casa, famiglia, scuola, catechismo. Ci stiamo adoperando per far sì che vengano accolte in un collegio. Ovviamente hanno bisogno di tutto, oltre che della retta anche di un minimo di corredo. Non hanno famiglia e se ce l’hanno, come una di esse, non possono rientravi a causa della violenza subita dal padre».

Ma state facendo anche qualcosa di materiale.
«Sí, stiamo ristrutturando una scuola in un villaggio lacustre fatto prevalentemente di palafitte, una biblioteca in un villaggio sperduto del Sud Ovest. Grazie alla diocesi di San Marco Argentano-Scalea abbiamo realizzato un centro Dialisi nell’Ospedale realizzato oltre trent’anni orsono dalla stessa Diocesi. Poi altri progetti e sogni in cantiere».

Nel suo ultimo libro (che presenteremo a parte) racconta la storia di bambini spaccapietre del villaggio di Paouignan. Una storia drammatica.
«Sicuramente sì. Debbo precisare che questi villaggi sono retaggio di uno sfruttamento che l’Occidente ha fatto (e continua a fare) con la tratta degli schiavi durata circa quattro secoli e mezzo che ha causato venti milioni di schiavi. Per sfuggire alla schiavitù nella prima metà del XVIII secolo sono stati costruiti questi villaggi che ancora oggi si fa fatica a raggiungere. Purtroppo, in Benin e un po’ in tutta l’Africa, è facile veder lavorare i bambini, per sostenere le famiglie. Ma in quel villaggio è diverso perché iniziano a spaccare pietre da due anni in su. Vivono in una condizione di perenne schiavitù senza rendersene conto, per loro è normale. Non regna la sfiducia o la rassegnazione è un popolo gioioso, fiero, accogliente».

Dei bambini africani sfruttati, maltrattati, resi praticamente schiavi non parla mai nessuno. I governi girano la testa altrove. Per la gente comune sono solo piccoli neri!
«Anche questo è vero. Circa tre anni fa ci recammo nel villaggio di Paouignan con Valerio Giacoia affinché scrivesse un reportage che fece molta fatica a pubblicare. Alla fine, dopo non poche insistenze venne pubblicato sul Venerdì di Repubblica. Vinse anche un premio internazionale di giornalismo».

Il suo romanzo è la testimonianza sull’ingiustizia che regna sovrana nel mondo, dall’Africa ai bambini palestinesi che muoiono di fame, quando sfuggono alle bombe. Ma dove sta andando il mondo?
«Tutte le volte che muore un bambino, di violenza, di fame, di guerra o finisce infondo al mare, sperimentiamo una sorta di “emorragia di umanità”. I bambini sono la parte migliore della nostra umanità. A Gaza stiamo assistendo inermi ad un genocidio che ha diversi precedenti nella storia che non ci ha insegnato nulla. Essa è maestra di vita solo ed esclusivamente se la sappiamo ascoltare e ricordare errori e orrori che non andrebbero mai ripetuti. Un mondo che ancora confida nella forza delle armi perché non ci sono più uomini e donne che sanno interpretare e vivere la politica come “altra ed esigente forma di carità”. Non ci sono più statisti o sono molto rari. Ne intravedo uno solo in Spagna con l’attuale Primo Ministro Pedro Sànchez».

Lei va spesso fra gli ultimi, nelle terre povere ma ricche di straordinaria bellezza, spesso dimenticate, ma piene di vita e di speranza. Sono un messaggio per l’Occidente decadente, dove un presidente americano vuole deportare un milione di immigrati all’anno.
«Sì un messaggio molto chiaro per chi vuole ascoltarlo. Se vogliamo che la nostra umanità abbia un futuro dobbiamo farci custodi della bellezza che salverà il mondo. Quale se non quella delle relazioni amicali tra popoli, dell’accoglienza, della solidarietà, della condivisione, degli scambi culturali, del dialogo. Papa Francesco ci invita in questo anno giubilare della Speranza, a saperla organizzare non solo nelle grandi cose ma anche e soprattutto nella nostra quotidianità. Come ho ultimamente scritto in un articolo, non può e non deve esistere un “vangelo secondo Trump”, con tanto di benedizione da parte di sedicenti predicatori».

È evidente che Dio guarda altrove
«Dio non benedice la ricchezza. Anzi. Come ci ricorda l’Apostolo Paolo lui da ricco che era si è fatto povero svuotando se stesso della condizione divina. È la kenosi perenne dell’amore che non può e non deve esser soffocata da pensieri ed azioni contrarie questa logica di dono e di servizio attraverso la quale si manifesta. Buona Pasqua a tutti».