Coraggio e dignità sono le parole chiave della storia che andremo a raccontare, che affonda le radici nella Calabria saccheggiata e attaccata dai saraceni, che giungendo dal mare sulle nostre coste, approdavano per rapire donne e uomini, e fare razzia di tesori trasportati sulle loro navi pirata.

Protagonista della storia è Donna Canfora, bellissima nobildonna che pare abitasse sulle coste di Reggio Calabria, a Taureana di Palmi, o forse a Torre Ruffa secondo un'altra versione, che con l'inganno fu indotta a salire sulla nave dei saraceni che si finsero mercanti. Non potendo fuggire poiché la nave era già salpata e la costa si allontanava sempre di più, si vide costretta a prendere una decisione coraggiosa, mettendo al primo posto il proprio onore.

È una storia che racchiude in sé la forza di una donna che piuttosto che permettere ad un uomo di decidere della sua vita, decise invece di fare quello che i saraceni stessi non si sarebbero mai aspettati.

Donna Canfora e la notizia della nave proveniente dall'Oriente

Donna Canfora era una nobile donna che possedeva molte ricchezze, e oltre che essere bellissima, tra le sue qualità c'erano anche la generosità e la gentilezza. Rimasta vedova aveva deciso fermamente di non risposarsi, rifiutando i numerosi pretendenti che tentavano di farle la corte, rimanendo fedele alla memoria del suo amato marito. Un giorno la sua governante arrivò a casa con una notizia: era arrivata dall'Oriente una nave carica di bellissime stoffe e sete, di tappeti pregiati, gemme preziose e maioliche coloratissime.

Donna Canfora, che in quel momento stava tessendo, ascoltava la governante parlare delle meravigliose cose che la nave aveva portato, e che anche lei doveva assolutamente vedere, per scegliere le più belle stoffe con le quali farsi confezionare degli abiti bellissimi e soffici come non ne avrebbe mai più avuti. Come d'altronde già stava facendo anche il resto degli abitanti, che erano accorsi nei pressi della nave incuriositi dalla merce bella e colorata, come non ne avevano mai visto prima di allora.

Ma Donna Canfora in quel momento non sentiva la contentezza della sua cara governante, anzi, era pensierosa: mentre tesseva, l'arcolaio quella mattina aveva cigolato troppo, e le era apparso in sogno suo marito. Interpretò questo quindi come un presagio di qualcosa di brutto che sarebbe capitato di lì a poco. Ma l'altra donna la rassicurò, e alla fine la convinse ad uscire, anche se prima la padrona di casa volle visitare tutte le stanze per accertarsi che non stesse succedendo niente di strano.

La folla e l'incontro con il capitano

Sulla riva c'era una gran folla. Tutti, chi interessati a comprare i pregiati materiali, chi curioso di vedere quei magnifici colori tutti insieme su sete, piume e gioielli preziosi, si erano radunati vicino alla nave per poter scorgere cosa era arrivata dall'Arabia e dalla Persia. Chi sulla riva, chi vicino all'imbarcazione, chi da punti più alti per poter scorgere la merce da un'altra prospettiva, gli abitanti della costa erano tutti lì incuriositi dalla presenza della nave che veniva da altri mondi, e che aveva navigato per giorni per arrivare fino alle coste della Calabria. Donna Canfora, rincuorata forse un po' dalla presenza di tante persone e della sua governante, che le aveva dato la notizia con gioia, si incamminò verso la marina. Appena arrivò anche lei alla riva vicino alla nave, le persone presenti si divisero in due, creando uno spazio al centro per farla passare, come se fosse una regina, poiché tutti nel paese ne ammiravano la bellezza e la generosità. Le andò incontro il capitano della nave, che le riferì che la fama delle sue virtù era arrivata anche in Oriente, guidandola con gentilezza per mostrarle quelle preziosità, che erano state portate esclusivamente per lei.

Il presagio che diventa realtà

Una volta salita sulla nave però si avvera il presagio che aveva avuto la giovane donna mentre era intenta a tessere al suo arcolaio: i marinai, sotto ordine del comandante, iniziarono a tirare su l'ancora e a issare le vele, preparandosi velocemente a salpare senza dare il tempo a nessuno di poter intervenire. Non appena la folla si accorse di quello che stava succedendo, iniziò a gridare, intimando alla nave di fermarsi e di non prendere il largo. Ma questa, preparata in tutta fretta dagli abili marinai che erano stati bravissimi a compiere la manovra, era già libera dagli ormeggi e stava ormai navigando verso il mare aperto, allontanandosi sempre di più dalla costa calabrese.

Il comandante la trascinò nella propria cabina, e a quel punto Donna Canfora si rese conto a malincuore di essere stata rapita con l'inganno. Che quella non era una nave di mercanti ma una nave saracena, che approdava sulle nostre coste per derubare i paesi di tesori, o rapendo le donne per farne di loro giovani per gli harem dei sultani. Vedendo la costa sempre più lontana, ed essendo ormai sola lì con il popolo nemico che la stava portando verso luoghi a lei sconosciuti, chiese di essere lasciata da sola per qualche minuto per salutare per l'ultima volta la sua terra e la sua casa, anche se da lontano. Il capitano colpito dalla sua richiesta, acconsentì, lasciandola sola sulla poppa per dire addio per sempre alla sua Calabria. Ma Donna Canfora, con grande dignità e orgoglio, guardò il mare, e la folla che ancora si agitava per lei, anche se non poteva ormai fare nulla, e prese la sua decisione. Guardò verso il cielo e si lanciò nelle acque profonde, ma mentre cadeva in quel mare blu gridò: «Impara, o tiranno, che le donne di questa terra preferiscono la morte al disonore!».

Donna Canfora, che aveva deciso di non voler vivere accanto al suo nemico, scomparve tra le onde, donando per sempre al mare, nel punto preciso in cui svanì, la tonalità del blu, del turchese e del viola dei suoi vestiti.