Stocco e baccalà, zucca fritta, i torroni della Piana, i petrali di Reggio e i crustoli di Crotone: viaggio nei territori alla scoperta dei piatti tipici e delle curiosità legate al cibo
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Baccalà fritto, zucca declinata in varie ricette, zeppole e torroni. È un Natale dai sapori autentici quello che ogni anno si celebra in Calabria. L’arrivo delle feste porta grande frenesia nelle cucine, tavole imbandite, via vai di parenti, scambi di auguri, doni e piatti preparati con amorevole cura. Alcune pietanze, in particolare, nonostante il trascorrere del tempo continuano a essere riproposte, come una sorta di rito ancestrale. Sono i piatti della tradizione che accomunano le famiglie calabresi dalla punta dello Stretto alle cime del Pollino. Ogni casa, ovviamente, ha il suo pezzo forte. Così come ogni territorio che vanta prelibatezze varie ruotando sempre attorno a ingredienti più o meno simili. Una cucina fatta di semplicità, di prodotti coltivati nelle campagne o provenienti dal pescato locale. Ecco qualche esempio di pietanze simbolo del Natale in Calabria.
Il trionfo del baccalà e della zucca fritta
Mimma Grillo, chef alla guida della cucina di un noto locale lungo la Costa degli dei, nel Vibonese, ci racconta il suo Natale: «Ogni territorio ovviamente ha le proprie tradizioni e specialità. Nella zona tra Zambrone, Parghelia, Tropea, ricordo fin da quando ero bambina, con le mie nonne si era soliti preparare la pasta con il sugo di baccalà, spaghetti con il nero di seppia oppure con il sugo di grongo (anguilla di mare). Molto apprezzati anche i “tajjarini” (tipica pasta fatta in casa) con ragù di maiale o pollo ruspante».
Carrellata infinita anche per i secondi: «Per esempio di usava e si usa ancora preparare la “sarza” tropeana con baccalà fritto, zucca ammolicata con ajjata (aglio) all’aceto rosso e menta. E poi ancora sarde fritte con ajjata, patate e stocco, vroccula affucati (broccoli), zeppole con alici salate e curuje (ciambelle) di patate. Molti apprezzano anche piatti come fritture di pesce misto, cavolfiore dorato, currijjozze ammollicate croccanti. i Currijjozzi sono delle melanzane essiccate al sole. Per conservarle per Natale appunto, vengono sbollentate, scolate, infarinate e fritte. Poi vengono insaporite con mollicata croccante all’aceto, olio e menta».
Un ruolo di primo piano viene ricoperto dai dolci: «spiccano i zippuli ca passula (frittelle con uvetta), ciciarate (dolci ripieni di ceci, cannella, chiodi di garofano e cacao) e, le più buone in assoluto, le crucette con i fichi, ripieni di frutta secca, tostate al forno e ricoperte di polvere di garofano e cannella».
Stocco e vroccula, il ricordo dei Natali passati
Passando all’entroterra, lo chef Francesco Messina, originario di San Costantino, ricorda la bellezza delle tradizioni a tavola e non: «Un’usanza che ancora si conserva in molti piccoli centri è quella della novena di Natale con sveglie all’alba e la musica delle zampogne o strumenti musicali antichi per le vie del paese». Parlando della cucina calabrese, il creatore del progetto “T’appatumi”, ricorda: «Si tratta di piatti molto “poveri” con ingredienti semplici, a chilometro meno di zero». Ci sono piatti, poi, che rimangono impressi nella memoria: «Uno in particolare quando ancora erano in vita i miei nonni, lo ricordo ancora oggi. Quel Natale preparammo pasta stocco e vroccula (broccoli)». Così come sulla costa, anche nei paesi dell’entroterra vibonese principe delle tavole è «il baccalà fritto, la zucca declinata in varie ricette». E poi ancora le zeppole, curujicchi «e anche il torrone con le mandorle, rigorosamente preparato a mano utilizzando una manciata di ingredienti».
Turdilli, torroni e petrali per un dolcissimo Natale
Il pesce è il principe anche delle tavole del Cosentino. In particolare, un mix tra tradizione e innovazione, con piatti rivisitati è la chiave di lettura del successo di molti ristoranti. Eugenio Galliano, titolare di un noto e pluripremiato locale sito a Cetraro, ci spiega: «Tra i piatti immancabili, sicuramente il baccalà e peperone crusco come secondo». Come dessert, «la puccia oppure i turdilli (una sorta di gnocco fritto) con mosto cotto».
Nel Reggino continuano a essere particolarmente apprezzate le sammartine, dolci ripieni di fichi secchi, mandorle, cacao e noci; e le nacatole, dolcetti fritti realizzati con pochissimi ingredienti (farina, uova e zucchero e vino bianco). Nell’area della Piana, vincono su tutti i torroni.
Ci sono poi i crispeddi, frittelle a base di pasta lievitata che troviamo nella variante dolce oppure in quella salata con farciture di acciughe, pomodori secchi, ricotta, tonno e anche con la ‘nduja piccante. Immancabili e tipici a Reggio i petrali, sono i petrali: piccole mezzelune di pasta frolla con un dolce ripieno a base di frutta secca come fichi ma anche di cioccolata.
Le ricette più antiche
I crustoli sono un dolce di Natale tipico di Crotone. Hanno la forma di uno gnocco e vengono fritti con farina di semola profumata da arancio e cannella con vino rosso, rum ed olio extravergine di oliva . Dopo essere stati fritti e rotolati nel miele possono essere conservati per giorni. Vengono regalati a parenti e amici per le feste e ogni famiglia ha la sua ricetta speciale.
Dalla terra pitagorica arriva poi la pitta da Madonna o pitta cu’ i passuli o pitta n’chiusa. Questo è un altro dolce tipico di Crotone che si prepara per Natale. Le origini sono antichissime e risalgono all’antica Grecia con influenze africane. Già il termine “pitta”, infatti, deriva da ‘picta’ (ossia dipinta), in quanto essa assume la forma di un rosone composto da tante piccole roselline, decorate (quindi dipinte), che venivano offerte innanzitutto a divinità femminili durante le feste con rituali che si celebravano nei templi, tra cui il famoso santuario di Hera Lacinia a Capocolonna sul promontorio lacinio che poi ospitò, con l’avvento del Cristianesimo, un santuario a Maria, e nello specifico la Madonna Nera, venuta dal mare secondo la leggenda. La ricetta tipica per la pitta è composta da ingredienti che si avevano a disposizione secoli fa: semola di grano duro, lievito madre, frutta secca con gli immancabili pinoli e l’uva passa, miele e tanta cura anche nel formare le roselline. L’impasto ha bisogno di riposo ed è per questo motivo che, una volta formata, è preferibile attendere un giorno prima di essere cotta.