Per il ceramista, scultore e pittore lametino, pronto ad esporre al Museo archeologico della sua città di origine con “Scultura Dipinta. Trasposizioni su carta vetrata”, «la principale esigenza è la ricerca e l’espressione di un’identità in dialogo con la storia, con il territorio, con le radici culturali»
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Ceramista, scultore, pittore. L'artista Antonio Saladino sa bene come muoversi, come impiegare le proprie mani per modellare un'opera, riempire una tela, provocare un'emozione. Nel corso della sua lunga carriera, ha costruito un incrollabile repertorio di consapevolezze e, tra queste, l'idea che fare arte sia un cammino personale, che tocca la sfera dell’essere spirituale. Un’esigenza intima per dare corpo ai propri pensieri e alle proprie fantasie.
Saladino, con il suo talento creativo, è pronto a stupire ancora una volta il suo pubblico e ad abbracciare nuovi visitatori. Dal 5 aprile sarà in esposizione, nella suggestiva cornice nel Museo archeologico di Lamezia Terme, con la mostra "Scultura Dipinta. Trasposizioni su carta vetrata", promossa dalla Direzione regionale Musei Calabria, realizzata in collaborazione con il Museo archeologico di Lamezia Terme, con il patrocinio del comune di Lamezia Terme ed il coordinamento dell'associazione "Castalia". Per la curatrice della mostra Elisabetta Longo «nell’arco della sua produzione artistica, Saladino ha messo in atto una rottura semantica attraverso le sue ceramiche, in una presenzialità oggettuale reinterpretata, dove non è soltanto la figurazione tridimensionale ad occupare il primo piano del senso e dello spazio, ma anche la capacità di coordinamento sintattico della superficie, della pelle materica, delle cavità e quindi della capienza».
Per il ceramista, scultore e pittore lametino, l'esposizione custodisce anche un valore intimo, in quanto avviene nello stesso luogo in cui ha mosso i primi passi da artista. «Miriamo a creare nuovi modi di fruire il museo, archeologico per vocazione ma che si pone come hub culturale in cui invitare artisti e professionisti della cultura a collaborare all’interno di un quadro interdisciplinare, consolidando la sinergia con le istituzioni locali e il mondo associazionistico» – afferma Simona Bruni, direttrice della struttura museale lametina.
Il vernissage della mostra si terrà sabato 5 aprile, alle ore 17.30, introdotto da una conferenza di presentazione. L'esposizione sarà visitabile sino al 5 maggio, dal martedì alla domenica, dalle ore 9 alle ore 19. Per conoscere meglio l'artista Antonio Saladino e i contenuti della sua imminente mostra, abbiamo deciso di porgli qualche domanda.
Ceramista, scultore e pittore, la sua carriera è stata e continua ad essere un'esperienza di padronanza dell'arte. Ha saputo governarla senza privarla, nello stesso tempo, della sua libertà di espressione. Ma è cambiato negli anni, per lei, il concetto di "arte"? Qual è la definizione che oggi sente di darle?
«Sono stato sempre convinto che fare arte sia un cammino personale, che tocca la sfera dell’essere spirituale, un’esigenza intima che è quella di dare corpo ai propri pensieri e fantasie. Oggi i valori estetici sono in continuo mutamento, soprattutto nell’arte contemporanea che, molte volte, adotta parametri di dubbio valore. Credo, inoltre che non ci sia movimento o corrente artistica che possa prescindere, in qualche modo, dai riferimenti valoriali del passato: c’è una matrice primordiale che è sempre presente. La bellezza estetica, l’armonia, sono valori tutt’ora validi perché continuano a rappresentare lo strumento privilegiato per arrivare all’anima dell’uomo, riscattandolo dalla banalità del quotidiano».
Con l'esposizione "Scultura Dipinta. Trasposizioni su carta vetrata”, in programma dal 5 aprile al Museo Archeologico di Lamezia Terme, tornerà nello stesso luogo in cui ha mosso i suoi primi passi da artista. Quali sono le emozioni che l'accompagnano in questo dolce "rincasare"?
«Questo luogo mi è molto caro, è proprio qui che ho mosso i miei primi passi come artista. Ricordo con piacere la mia prima mostra di pittura, erano gli anni Settanta e dunque parliamo di mezzo secolo fa. Il complesso monumentale del San Domenico ospitava allora, al piano terra, l’associazione archeologica lametina, di cui io feci subito parte come socio. Oggi, a distanza di tanto tempo, sono ancora ospite con una mia personale in questo luogo, che è diventato sede del museo archeologico della città. Come artista, sono onorato ed anche, devo dire, un po’ emozionato. Mi sembra di vivere quest’arco temporale come la scansione di una partenza e di un arrivo o, forse ancora, una ripartenza».
Cosa devono aspettarsi lo sguardo e l'animo del visitatore dalla sua mostra? Cos'è che li attende?
«A parte le tematiche trattate (il ludico, l’introspettivo e lo spirituale), molto usuali nella mia produzione artistica, c’è un aspetto singolare che riguarda il medium utilizzato e cioè la carta vetrata. Ho sempre utilizzato questo materiale per quella che è la sua normale funzione d’uso, scartavetrare le superfici. Fino ad un certo punto, non ho preso in considerazione il fatto che potesse avere un uso diverso, diventare il supporto per la pittura. Mi piace ricordare un episodio che credo sia stato determinante nell’interesse e nella scelta di questo materiale: delle macchie di colore finiscono accidentalmente su un foglio di carta vetrata riposta sul tavolo da lavoro e mi rivelano non solo una sorta di paesaggio assolutamente casuale ma soprattutto l’effetto cromatico assunto dal colore a contatto e in relazione a questo originalissimo supporto, caratterizzato da una visibile e tangibile ruvidezza. Penso che anche i visitatori rimarranno sorpresi da questo particolare uso della carta vetrata».
La sua narrazione è sospesa tra arte e archeologia, tra creatività e territorio. Cosa la spinge a muoversi in questa direzione e di cosa è ancora alla ricerca? Qual è la ragione, il senso profondo, che spinge in avanti la sua curiosità?
«Mi hanno definito “l’artista dell’originario”. La mia principale esigenza è la ricerca e l’espressione di un’identità in dialogo con la storia, con il mio territorio, con le mie radici culturali. Il territorio offre molti spunti e motivi di ispirazione: i siti archeologici sono un pozzo di idee, per me, ma il passato, il mito non condizionano il mio essere artista della contemporaneità perché non mi lascio assorbire totalmente da esso. Guardo al mio passato non per evocarlo né tanto meno per proporne una sterile imitazione ma per riattualizzarlo e dargli nuova vita, farlo vivere in una nuova identità, utilizzando connotati stilistici che appartengono al linguaggio dell’arte contemporanea».
Nel corso della sua carriera artistica, ha avuto modo di collaborare con diversi istituti scolastici e conseguentemente di confrontarsi con tanti giovani. C'è un messaggio, un insegnamento o un appello che ha inteso rivolgere loro per affrontare il mondo di oggi? E, nello stesso tempo, ha da loro appreso qualcosa in più sulle esigenze delle giovani generazioni?
«Sicuramente nell’esperienza dell’insegnamento c’è sempre stato, almeno per me, un dare e ricevere. Io ho sempre cercato di trasmettere, oltre che i contenuti didattici, anche e soprattutto quel rapporto umano fatto di lealtà, amicizia, rispetto e comprensione. Tutt’oggi sono oggetto di manifestazioni di affetto da parte dei miei alunni che diversi anni fa erano ragazzi adolescenti e che oggi sono genitori».