Risalendo lungo la Statale 106, attraversando i paesi dell’Alto Ionio verso il confine con la Basilicata, si apre qui una strada, fiume d’asfalto che scorre lungo il letto di quello che fiume lo è davvero. È la 481 della Valle del Ferro: attraversa, infatti,la valle che proprio da quel fiume prende il nome. Lì, dove l’acqua ha lasciato la scena a pietre grigie e macchie di vegetazione, corrono liberi due cavalli mentre non troppo lontano le mucche al pascolo fanno risuonare i loro campanacci. Lo sguardo scivola su tutto questo, all’unisono con le ruote dell’auto sulla carreggiata. Finché non viene rapito dall’alto, dalla sommità di una rupe su cui sorge un castello, e attorno al castello un intero paese. È Oriolo.

Tre parole, come di consueto, per raccontare questo luogo ai margini della provincia cosentina e della Calabria stessa, tra Pollino e Mar Ionio. Nato come fortezza - è questa la prima parola - il centro abitato sorge a 450 metri di altitudine. Fu rifugio per le popolazioni della costa in fuga dalle continue incursioni dei saraceni. Il fulcro è il castello, fortezza nella fortezza.

Ai piedi delle possenti mura, austera nel suo abito di pietra, è la chiesa madre di Oriolo, dedicata a San Giorgio. Il santo con l’armatura e la lancia veglia dall’alto della facciata sulla piazza che tiene stretti a sé i due monumenti principali. Da qui si diramano le viuzze che portano al cuore della parte più antica. Dove è scritta la storia di questo posto.

Oggi conta circa 2.000 abitanti, ma negli anni Trenta del secolo scorso arrivò ad averne 5.000, diventando uno dei centri più popolosi dell'Alto Ionio.

Il passato è nell’aria, aleggia al di sopra delle case e attorno alle torri del vecchio maniero, come gli stormi d’uccelli neri che sono di quest’epoca ma potrebbero essere di qualunque altra, perché alzando gli occhi al cielo si perde il senso del tempo.

Un tempo che oscilla tra ieri e oggi e a fare da cerniera è una sigla: Mudam, il Museo diffuso delle arti e dei mestieri. Un percorso articolato in più tappe attraverso la cultura e le tradizioni del territorio, la narrazione di ciò che questo luogo è stato e di ciò che è.

È imponenza e semplicità Oriolo, maestosa e silente come il suo castello, minuta e operosa come i negozietti e le botteghe che si dipanano lungo la via che si inerpica sul versante opposto. Il bar, l’emporio, l’alimentari. È un posto al confine. Della Calabria e del tempo.

È discesa e salita, una cascata di tetti che si riversa nel mezzo del paese, dove la pendenza diventa di nuovo scalata fino a quel dedalo di vicoletti e passaggi coperti, segreti, nascosti tra gli usci delle case dove un tempo soffiò il vento della rivolta. Un soffio potente, che prese vita a Napoli e si spinse fin quaggiù, da Masaniello al popolo oriolese. Che con orgoglio lo ricorda oggi a chi passa: "Per questa strada, detta la Portella, il 13 dicembre 1647 scoppiata a Napoli la rivoluzione capeggiata da Masaniello, s'introdusse segretamente in Oriolo il d.r. P. Vivacqua per incitare gli Oriolesi alla rivolta contro la tirannica oppressione del mal governo".

Quattro grossi chiodi affissi alla parete, la scritta scavata in corsivo sul rettangolo che sembra un mare agitato, coi suoi bordi ondosi. Marmo marchiato col fuoco della ribellione. Pietra fredda che brucia ancora, ardente della storia grande di questo Paese che da qui è passata e ha lasciato un pezzo di sé.