La leggenda e il fascino di un luogo senza tempo intriso di magia, bellezza e mito
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Pensavo fosse il suono della sveglia e invece era la Lira calabrese, che accompagnava la voce calda di un uomo mentre il rumore dell’acqua sfiorava gli scogli del mito.
Durante la notte l’immagine incantevole di case di color bianco, rosa, giallo e di barche azzurre pronte ad abbracciare il mare ha sconvolto la mia voglia di dormire.
La sua acqua, che come una madre accarezzava le pareti di quelle abitazioni a picco sul mare, verde e poi di azzurro intenso come il cielo, placava la mia sete di stupore.
Dovevo raggiungere quel luogo, qualcosa mi attirava, incontrare gli scogli delmito di Scilla e Cariddi econoscere quel piccolo e allo stesso tempo grande braccio di mare: lo Stretto di Messina, che da sempre ha suscitato nell’immaginario collettivo la rievocazione di miti e leggende.
"In macchina.
Innanzi a me un quadro magico.
Sospeso nell'azzurro del mare
rimango rapito dal borgo di Chianalea,
e mi lascio guidare dalla sua bellezza…”
Scendo dall’auto e lentamente percorro la stretta via, che mi condurrà a Chianalea, che vive e abita il mare.
Ogni via finisce in acqua.
È un abbraccio avvolgente tra cielo, mare e terra.
Una dolce melodia, il sole che esplode illumina i miei passi, mentre scogli maestosi bucano le acque.
Il rumore dei tasti di una macchina per scrivere regala poesia in un luogo che è Poesia.
Rivolgo lo sguardo verso il cielo e all’improvviso un cagnolino mi guarda timidamente, mi abbasso, lo accarezzo e ripenso al Santo che tanto è amato in questo luogo, Rocco di Montpellier.
Mi trovo in piazza San Rocco, il santo che ha combattuto la peste, in uno degli affacci sul mare più belli.
Forse non ho incontrato per caso un cagnolino.
Chissà… mi piace pensare che sia la reincarnazione del piccolo Breton, che ogni giorno rubava un pezzo di pane dalla tavola del padrone e lo portava a San Rocco, che in una grotta pativa per la peste che si era impadronita del suo stanco corpo.
Lo seguì dappertutto nel suo infinito peregrinare e in ogni raffigurazione è sempre al suofianco.
Nel mio dolce peregrinare vedo una scala e decido di salire attraverso i suoi gradini di pietra per scoprire finalmente il viso del mito.
Raggiungo una roccia bianca, macchiata di verde e mi siedo a guardare Scilla, ninfa marina, bellissima con i capelli biondi e gli occhi azzurri.
Viveva in Calabria e spesso andava a fare il bagno in una caletta, a Zancle, l’attuale Messina.
Incontrò casualmente Glauco, Dio del mare, metà uomo e metà pesce, che si innamorò perdutamente di lei.
La bella Scilla scappò impaurita e Glauco chiese alla maga Circe di creare una pozione d’amore per Scilla e farla innamorare di lui.
La maga Circe si innamorò di Glauco e creò una pozione magica diabolica.
Giunse nella caletta dove Scilla faceva il bagno e versò nel mare la pozione.
L’incantevole ninfa a contatto con l’acqua si trasformò in un mostro marino con dodici piedi invisibili e sei lunghissimi colli con sei teste e, in ogni bocca, tre file di denti fitti e serrati.
Un mostro che nell’immaginario collettivo divorava chiunque passasse in quel lembo di mare: pescatori, viaggiatori e commercianti.
Affascinato dalla leggenda decido di lasciare questo luogo intrisodi magia, bellezza e mito.
Porto con me il ricordo di un pescatore su una piccola barca di colore azzurro e bianco, che guarda i fondali trasparenti per parlare con il mare, il suo mare, il nostro mare...