La lettura del mandato di perquisizione dell'Fbi della residenza di Donald Trump in Florida conferma le indiscrezioni di stampa che l'ex presidente è indagato per spionaggio. Quando ha lasciato la Casa Bianca avrebbe portato con se o distrutto molti documenti classificati top secret. Documenti sulle armi nucleari e altre informazioni sensibili sulla sicurezza degli Stati Uniti e non solo. Se fossero vere le rivelazioni del Washington Post sull'obiettivo del blitz dell'Fbi a Mar-a-Lago, Donald Trump si troverebbe in guai più seri di quanto si potesse immaginare solo qualche giorno fa.

Una notizia bomba, che potrebbe trovare conferma ufficiale nelle prossime ore con la pubblicazione del mandato di perquisizione, chiesta dal ministro della Giustizia Merrick Garland e alla quale, almeno a parole, il tycoon non si oppone. Le carte segrete che i federali stavano cercando nella residenza di Trump in Florida è materiale altamente sensibile e causa di «profonda preoccupazione» da parte dei funzionari del governo.

Le fonti non hanno fornito al Washington Post ulteriori dettagli sul tipo di documenti che gli agenti stavano cercando, per esempio se si tratti di informazioni relative solo alle armi nucleari degli Stati Uniti o di altri Paesi. Né se effettivamente l'Fbi abbia trovato ciò che cercava nel resort. Certo è che le rivelazioni sono inquietanti dal punto di vista di Washington perché si tratta di carte che non solo possono mettere a rischio la sicurezza nazionale americana, ma anche creare problemi con altri Paesi.

Secondo il New York Times, fra i documenti oggetto della perquisizione c'erano anche informazioni sui più segreti programmi americani, i cosiddetti 'special access programs'. Trump, al solito, ha reagito con strafottenza alle rivelazioni del Washington Post bollandole come una bufala: «La questione delle armi nucleari è una bufala, proprio come la Russia, la Russia era una bufala, due impeachment erano una bufala, l'indagine Mueller era una bufala e molto altro ancora», ha attaccato l'ex presidente accusando «le stesse persone squallide» di essere coinvolte in una cospirazione contro di lui.

«Perché l'Fbi non ha consentito ai miei avvocati di essere presenti alla perquisizione a Mar-a-Lago? Li ha fatti aspettare fuori al caldo, non li ha lasciati nemmeno avvicinarsi. 'Assolutamente no', hanno risposto! Forse per lasciare prove?», ha insinuato il tycoon ribadendo l'accusa ai federali di volerlo incastrare.

E poi è tornato ad attaccare Barack Obama sostenendo che il suo predecessore abbia portato via dalla Casa Bianca 30 milioni di pagine di documenti classificati. «Il presidente Barack Hussein Obama ha preso 33 milioni di pagine di documenti, molti dei quali riservati. Quanti di loro riguardavano il nucleare? La risposta è: Un sacco!». Nelle prossime ore è attesa la pubblicazione della sentenza che potrebbe chiarire finalmente quale fosse l'oggetto della perquisizione dell'Fbi. Trump l'ha sollecitata, «pubblicatela subito», mentre i suoi avvocati sono più prudenti. Potrebbe trattarsi di un gioco delle parti tra il tycoon e i legali, che comunque hanno tempo solo fino alle 21 per dare una risposta. La sentenza infatti può essere resa nota solo con il consenso di entrambe le parti in causa. Se fosse così intenzionato a divulgarla, fanno notare alcuni analisti, Trump potrebbe farlo lui stesso, una volta avuto il via libera dal dipartimento di Giustizia. Ma la decisione è più complicata.  

Intanto, sui social, Trump continua a stroncare l’inchiesta: «Numero uno, era tutto declassificato. Numero due, non avevano bisogno di 'sequestrare' nulla. Avrebbero potuto ottenerlo quando volevano senza fare politica e irrompere a Mar-a-Lago. Erano in un luogo sicuro, con un lucchetto in più messo dopo che me lo avevano chiesto loro».