L’inchiesta ipotizza un sodalizio criminoso per alcune opere del Provveditorato interregionale di Sicilia e Calabria. Avevano inventato la “mazzetta rimborsata”
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Alcuni appalti del Provveditorato interregionale di Sicilia e Calabria per le opere pubbliche sarebbero stati truccati. Quattro funzionari del Provveditorato sono stati arrestati stamani a Palermo con l'accusa di corruzione, falso in atti pubblici e truffa aggravata ai danni dello Stato. Nel mirino imprenditori e funzionari dell'ufficio siciliano che dipende dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. A finire in manette: Carlo Amato, Francesco Barberi, Antonio Casella e Claudio Monte. I quattro alla fine del 2017 erano già finiti nel registro degli indagati. Nell'elenco dei coinvolti altri due funzionari che sono stati sospesi per un anno, mentre sono otto gli imprenditori raggiunti da un'interdittiva e per un periodo non potranno trattare con la pubblica amministrazione. L’ imponente operazione della Polizia di Stato a Palermo, denominata “Cuci e Scuci“ ha portato all’esecuzione di numerose misure cautelari, emesse dal gip del Tribunale di Palermo, su richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di imprenditori e di funzionari della Pubblica amministrazione, «nelle vesti, rispettivamente, di corruttori e corrotti e che, per le loro condotte illecite accertate, dovranno rispondere a vario titolo dei reati di corruzione, falso in atti pubblici e truffa aggravata ai danni dello Stato».
I provvedimenti sono gli esiti di un’articolata indagine, svolta dalla Sezione “Anticorruzione” della Squadra Mobile di Palermo, che ha «registrato uno stratificato sistema corruttivo, annidatosi nel settore degli appalti per opere pubbliche e che ha interessato un importante distretto ministeriale deputato a veicolare rilevanti fondi pubblici». A coordinare l'inchiesta il procuratore Francesco Lo Voi, l'aggiunto Sergio Demontis e i sostituti Giacomo Brandini, Maria Pia Ticino e Pierangelo Padova.
La denuncia di un imprenditore fa scattare le indagini
A dare l’input alle indagini la coraggiosa denuncia di un imprenditore edile, imbattutosi in una richiesta di tangenti da parte di alcuni dei funzionari pubblici, in servizio al Provveditorato interregionale, oggi arrestati, nel corso della ristrutturazione edile di una scuola elementare nella provincia di Palermo. L’uomo si è rivolto alla polizia, raccontando pressioni e minacce più o meno esplicite. I funzionari avrebbero preteso pranzi, cene, regali e naturalmente denaro, per migliaia di euro.
«La denuncia dell'imprenditore è stata il punto di partenza - dice Rodolfo Ruperti, il capo della squadra mobile - le indagini hanno svelato il sistema che controllava diversi appalti pubblici». Già nel dicembre del 2017, la procura aveva disposto delle perquisizioni negli uffici del Provveditorato, la sezione Anticorruzione della Mobile aveva sequestrato documentazione riguardante alcuni lavori fatti a Palermo e provincia: al padiglione 18 dell’Università di viale delle Scienze, in un dipartimento di via Archirafi, in un appartamento delle forze dell’ordine (zona via Giusti) e poi ancora alla caserma dei carabinieri di Capaci. Sotto osservazione quattro lavori a Enna: per la sistemazione di alcuni immobili dei vigili del fuoco, dell’Agenzia delle Entrate e della caserma della polizia intitolata al commissario Boris Giuliano; sospetti di mazzette anche sulla ristrutturazione della Chiesa di San Benedetto, nel Comune di Barrafranca. Sequestrata pure la documentazione che riguarda le scuole “Ansaldi” di Centuripe (Enna), “Luigi Pirandello” di Villadoro (Nicosia), “Piraino” di Casteldaccia e “La Pira” di Sant’Alfio (Catania).
Sodalizio criminoso
L’inchiesta ipotizza «un sodalizio criminoso allocato presso gli uffici del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche di Sicilia e Calabria». Avevano inventato la “mazzetta rimborsata”. Ovvero, l’imprenditore pagava il funzionario corrotto, che poi provvedeva ad aumentare le somme previste per l’esecuzione dell’appalto. Così, appunto, la vittima veniva rimborsata. Attraverso generosi stati di avanzamento dei lavori, oppure perizie suppletive. Insomma, alla fine della fiera, i costi della corruzione gravavano sul cittadino e sulle casse pubbliche. E gli appalti costavano sempre di più, inutilmente.
L’espressione chiave di molti lavori gestiti dal “sistema” finito sotto accusa era una sola: cottimo fiduciario. La legge prevede procedure semplificate per gestire lavori più piccoli o da fare in urgenza. E, spesso, la semplificazione non è sinonimo di trasparenza.