In tanti piangono Francesco col cuore sincero, inginocchiati in silenzio. Ma c’è anche chi nel momento più sacro del lutto estrae lo smartphone, si aggiusta i capelli e si scatta un foto col feretro sullo sfondo
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Cellulari in alto nella Basilica di San Pietro per fotografare la salma del Papa
Papa Francesco è morto. Lo hanno adagiato nella Basilica, vestito di rosso, nel silenzio solenne che dovrebbe accogliere un capo spirituale, un padre per milioni di credenti. Lo si sente forte, dentro la Basilica, dove da giorni il corpo è esposto alla devozione del mondo. C’è chi arriva con gli occhi lucidi, chi cammina lentamente, chi tiene stretto un rosario. C’è chi, davanti a quella figura vestita di bianco, abbassa lo sguardo e lascia che il dolore salga senza chiedere il permesso.
Poi ci sono gli altri.
Quelli che non sono lì per il lutto, ma per l’occasione. Quelli che non si sono messi in fila per rendere omaggio, ma per documentare di esserci stati. Quelli che aspettano il proprio turno come se stessero entrando a un’anteprima esclusiva. E appena si avvicinano al feretro, si girano. Non verso il Papa. Verso la fotocamera.
In fila per ore, non per raccogliersi, ma per accaparrarsi uno scatto esclusivo col defunto. Non hanno portato un rosario, non conoscono una preghiera. Ma sanno benissimo come stare in posa con lo sfondo giusto. E cosa c’è di meglio, oggi, per far salire i like, di un cadavere papale?
Un tempo si portava a casa un santino. Oggi si porta a casa una foto col morto. Rigorosamente sorridendo, magari facendo il gesto del cuore con le dita. C’è chi mette il cappuccio, chi regola la luce in diretta, chi si rifà il trucco nella navata laterale. Perché l’eternità, si sa, non perdona la scarsa definizione.
È in quel momento che tutto si rompe. Non il buon gusto – quello è già morto da un pezzo – ma la sacralità del dolore. Perché scattarsi un selfie col Papa defunto sullo sfondo non è solo un gesto idiota. È un insulto a chi sta vivendo un lutto vero. A chi magari ha amato davvero Francesco. A chi ha trovato conforto nelle sue parole. A chi crede, spera, prega, piange.
E invece si ritrova lì, circondato da cellulari sollevati come torce in un concerto. C’è chi regola l’inquadratura, chi sussurra “scatta tu che tremo”, chi fa la diretta come fosse a un evento. Qualcuno chiede addirittura il bis. Le guardie sussurrano “No foto, no video”, ma è fiato sprecato. I telefoni continuano a scattare. C’è persino chi fa la diretta. “Siamo qui col Papa... cioè, ex Papa, lol”, sussurra una ventenne inquadrandosi di profilo, cercando l’inquadratura che la faccia sembrare triste ma carina. Perché pure il lutto, ormai, deve essere fotogenico.
Non è l’omaggio all’amato pontefice. È una nuova attrazione. Una tappa obbligata per il turismo da necrologio. Un’occasione irripetibile da buttare subito nelle stories, tra un cappuccino e un outfit del giorno. C’è chi scrive “Onorata di essere qui”, chi mette l’emoji con l’aureola, chi aggiunge un finto pensiero tipo “Riposa in pace, guida dei popoli” con sotto la sua faccia in primo piano. Perché il vero protagonista non è il Papa. È chi scatta.
Il corpo santo è ridotto a sfondo. A tappezzeria del proprio narcisismo. E poco importa se quel corpo rappresenta qualcosa di sacro per milioni di persone. È morto, sì, ma prima di andarsene ci ha lasciato un ultimo dono: un contenuto da postare.
Forse l’inferno non è in basso, né in alto. È in quell’espressione compiaciuta di chi si immortala davanti alla morte, convinto di aver vissuto un momento speciale. È nello scatto di una stronzetta con la borsetta firmata, nell’occhiolino del ragazzo con il giubbotto lucido, nel boomer che fa la foto panoramica e la spedisce su WhatsApp “alla zia di Milano”.
Nessuno si inginocchia. Nessuno si ferma un secondo a guardare davvero. Tutti premono “scatta”. Poi escono, ridono, pubblicano. Un pellegrinaggio 2.0, senza Dio ma con la connessione 5G.
Siamo oltre la blasfemia. Siamo nella banalità del male digitale. Dove tutto si consuma, si mostra, si archivia. Anche la morte. Anche il Papa.
E allora sì, ha ragione chi dice che ci meritiamo il mondo che abbiamo costruito. Solo che adesso ci stiamo facendo i selfie mentre brucia.