Alla richiesta di un commento su Salvini l’ex capitana risponde con un secco «nulla da dire»
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Si è svolto questa mattina, al palazzo di giustizia di Agrigento, l’interrogatorio di Carola Rackete.
L’ex capitana della ‘Sea Watch3’ per quasi quattro ore è stata ascoltata dai pubblici ministeri siciliani nell'ambito dell'inchiesta per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e disobbedienza a nave da guerra.
«Sono stata molto contenta di avere avuto l'opportunità di spiegare tutti i dettagli del salvataggio del 12 giugno. Spero che la nuova Commissione europea faccia il meglio possibile per evitare queste situazioni». Ha dichiarato ai giornalisti la Rackete all’uscita e alla richiesta di un commento sul ministro degli Interni, Matteo Salvini, ha rispsto: «Non ho nulla da dire».
Il legale della Rackete
«Vicenda chiara per noi, salvataggio regolare», ha affermato Alessandro Gamberino, legale della capitana, al termine dell'interrogatorio in Procura ad Agrigento. «L'interrogatorio è stato semplice, si è trattato di un salvataggio in mare fatto con tutti i crismi di regolarità e di esigenze drammatiche. Per noi è una vicenda chiara, è giusto che ci sia un'indagine. Ma montare strane idee sul salvataggio della Sea Watch è fuori dal mondo».
Gamberino ha inoltre sottolineato che «Carola non è più membro dell'equipaggio della Sea Watch, c'è stato un cambio di equipaggio, quindi a questo punto farà altro. Nella sua vita non ha fatto solo la capitana ma tanto altro. Farà quel che crede».
E sul ministro Salvini l’avvocato aggiunge «che il clima di odio ci sia e venga alimentato da dichiarazioni aggressive, irresponsabili e false, come quelle che il ministro Salvini ha presentato nei suoi profili social è pacifico».
«Un conto che lo fa uno al bar, un altro è se arrivano da un uomo che ha responsabilità istituzionali. In questo senso noi crediamo - ha aggiunto il legale - che questo abbia una valenza istigatoria. Crea, come un grande macigno buttato nello stagno, grandi ripercussioni».
E sui porti sicuri Gamberino afferma: «Il ministro degli Esteri dice espressamente che la Libia non è un porto sicuro. Questo esigerebbe, se fossimo in una situazione coerente, che i Paesi europei si obbligassero a presidiare le acque Sar libiche. Criminalizzare le associazioni umanitarie - aggiunge il legale - per quello che dovrebbero fare i Paesi europei è una cosa incoerente, una vergogna». E conclude: «La motovedetta libica che si è avvicinata esibiva un'insegna del comandante di una milizia ed è una cosa documentata».