Anche se tardivamente, Giorgia Meloni aveva fatto intendere che Steccato di Cutro poteva e doveva essere una linea di confine tra la indispensabile lotta al traffico di essere umani e la domanda di giustizia e verità che da quei corpi sbattuti tra le onde si diffondeva nell’opinione pubblica. Poi la ragion di Stato - cioè la necessità di evitare strappi con Salvini – ha sterilizzato la comunicazione della nostra premier, impreparata alle domande sul mancato omaggio alle bare dai caduti nella strage e inspiegabilmente chiusa sulla ricerca dei responsabili dei mancati soccorsi.

Dal punto di vista della comunicazione, forse può soddisfare parte dell’elettorato di destra l’annuncio del pugno di ferro contro scafisti (pene fino a 30 anni) e clandestini e una maggiore apertura all’accoglienza dei migranti regolari. Ma c’è un elemento che Giorgia Meloni non ha valutato a fondo: se è vero che l’Italia non è quella di Mimmo Lucano, è ancor più vero che non è quella di Matteo Salvini. Perché nella cultura di “italiani brava gente” c’è una radice umanistica, una propensione all’accoglienza di chi è perseguitato, profondamente radicata nel nostro Dna, che scatta quando il senso dell’ingiustizia è profondo. Come è accaduto a Steccato di Cutro.

Lo stacco tra le due Italie

La premier sta sottovalutando lo stacco profondo causato dalla mancanza di empatia – o rappresentazione di umana pietas – del Governo da lei presieduto. C’è un’Italia colpita dalla bara che accoglie un corpicino con il numero zero (a significare che il bimbo aveva pochi mesi), in questo momento più reattiva dell’Italia che si può galvanizzare con il pugno di ferro. C’è un’Italia delle periferie, incattivita da flussi di immigrazione mal gestiti e che per questo diventano un problema di ordine pubblico e criminalità. C’è anche un’Italia egoista che se ne frega e basta, ma di fronte alla tragedia, prevale l’Italia culla del Cristianesimo, dell’Umanesimo, del Rinascimento.

Un Decreto legge più propaganda che sostanza

Una prima considerazione di merito sulla parte repressiva del Decreto legge: sembra altamente improbabile che le navi italiane vadano in giro per il mondo a caccia di scafisti. Non abbiamo i marines, ci sono regole internazionali e limiti da rispettare, l’Italia non è abituata a blitz internazionali. Inoltre appare altamente improbabile che criminali incalliti – provenienti da zone dove guerra, torture e stupri sono all’ordine del giorno – si facciano impressionare dall’aumento di pena e quindi dalla prospettiva di passare 30 anni nelle carceri italiani. La cosa più probabile è che – aumentati i rischi per chi conduce i natanti – il prezzo di un passaggio su una carretta del mare passi da 8.000 euro a 16.000 euro, senza fermare in alcun modo la tratta di disperati. Subito dopo l’annuncio dell’inasprimento delle misure repressive, infatti, gli sbarchi sono continuati come sempre. Un peschereccio con 500 migranti è arrivato nella notte a Crotone. Le motovedette italiane (ora sì) sono in giro per le segnalazioni di barconi in difficoltà al largo delle coste di Crotone e Roccella.

Ancora senza risposta i dubbi sui mancati soccorsi

Il Consiglio dei ministri a Steccato di Cutro si è dimenticato di rispondere alle domande sui mancati soccorsi. Le politiche sulle migrazioni non possono essere messe in piedi sulla base di un’onda emotiva, ma la ricerca di verità e giustizia è un’altra cosa. È vero che questi passeggeri della speranza hanno pagato trafficanti di esseri umani e, secondo le normative italiane, il traffico di immigrati che si introducono clandestinamente nel nostro paese è un reato: infatti gli scafisti sono stati arrestati e saranno perseguiti per legge. Ma anche l’omissione di soccorso è un reato, come sono reati tutti quelli che ne derivano in conseguenza della morte di tante persone. E anche questi – se ne sussistono le condizioni – vanno perseguiti.

Si potevano salvare? Se sì, devono essere individuati errori, omissioni e responsabilità

Alla domanda “si potevano salvare?” va data una risposta: dalla Procura di Crotone sul piano giudiziario, dal Governo sul piano politico. Giorgia Meloni non può fare finta che esistano solo responsabilità degli scafisti e non ne esistano sui mancati soccorsi.

Luigi Li Gotti, a capo del pool di legali che segue i familiari delle vittime, lo ha spiegato chiaramente. Dopo l’avvistamento del barcone da parte di Frontex c’è un buco nero nelle comunicazioni dalle 23 alle 4 del mattino, con un mare forte che ha costretto i mezzi navali della Guardia di Finanza a rientrare in porto. In quell’arco di tempo nessuno ha valutato l’oggettivo pericolo per le vite umane, decidendo di intervenire.

Per evitare la strage sarebbe bastato indicare la presenza della secca che ha bloccato la barca esponendola alla furia distruttiva delle onde (la zona dello sbarco è in prossimità della foce del Tacina) indirizzando l’imbarcazione per l’approdo 100 metri più in là. La barca aveva percorso 40 miglia in quelle condizioni avverse, avrebbe percorso anche 100 metri in più. Per Li Gotti “si potevano salvare tutti”. Sarebbe bastato che persone esperte e allertate fossero lì ad assistere il natante durante le operazioni di sbarco.

I morti, i sopravvissuti e noi: abbiamo tutti diritto di sapere perché nessuno era lì a dire “spostatevi di 100 metri”. E qualcuno ha il dovere di rispondere.