Bisogna dire No a questa miseria normalizzata. Perché un popolo che accetta il declino è già morto. Ma un popolo che si ribella può ancora risorgere
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Da diversi anni l’economia italiana ruota attorno a una crescita che non va oltre lo zero virgola. E il paese arretra sempre più. Certo, l’Italia non crolla di colpo, ma il rischio è che si sbricioli sempre più . Così pure per la Calabria che da tempo fa i conti con un’emergenza demografica molto grave, con la fuga di intere generazioni e lo spopolamento avanzato di moltissime comuni. Reggono fra mille difficoltà le piccole e medie imprese dell’agroalimentare, dazi permettendo. Ma una Calabria che invecchia paurosamente e si svuota, non ha futuro.
Tutto questo accade nel silenzio delle istituzioni e delle classi dirigenti, non reagisce nemmeno il mondo delle imprese, mentre anche l’opinione pubblica rimane assente, indifferente.
In Italia sono anni che il lavoro è sottopagato, mentre l’inflazione ha portato alle stelle i prezzi di tutti i prodotti, compresi quelli di prima necessità. E le famiglie, come le aziende, fanno i conti con i costi dell’energia e dei carburanti, che ormai soffocano ogni possibilità di crescita e di sviluppo. In queste condizioni la classe media arretra sempre più, fino a scomparire. I nuovi poveri sono gli impiegati, costretti a sopravvivere con uno stipendio da fame.
Lo chiamano sviluppo, ma è un inganno: se fosse progresso vero non lascerebbe indietro intere generazioni, che ormai sono ai margini della società.
I numeri parlano da soli: il costo della vita corre anche quando l’inflazione è tornata al 2%. Gli stipendi pubblici sono aumentati del 6% ma è una beffa che affonda nel carrello della spesa. Per i pensionati basta un aumento spettacolare di meno di 2 euro al mese. Il privato non va meglio: contratti precari, paghe da fame, giovani costretti a partire senza più nemmeno l’illusione di un futuro migliore.
Il Sud si svuota. E come scrive su queste pagine il filosofo Francesco Vilotta: «Nel frattempo, il Sud muore. Le finestre si chiudono una dopo l’altra come palpebre stanche, i vicoli si fanno muti come chiese abbandonate, mentre le strade si svuotano e i muri si sgretolano, testimoni silenziosi di un’agonia che nessuno vuole vedere. "Ci siamo abituati al peggio. Ma il peggio non ha limiti", come scriveva Leonardo Sciascia».
Ma la fuga è cominciata anche al Nord, dove sempre più vanno nel resto d’Europa e perfino nei paesi arabi più aperti alle esigenze occidentali. Di questo passo si rischia seriamente il declino dell’intero paese. Siamo passati dalla grande emigrazione al grande esodo, ma senza un altrove che offra riscatto. Abbiamo barattato il benessere con la precarietà, la crescita con la sopravvivenza.
Pasolini l’aveva previsto: uno sviluppo senza progresso è solo l’anticamera della rovina.
Ma la storia non è già scritta. Non è possibile rassegnarsi a tutto questo. Serve una scossa, un rifiuto netto di questa miseria normalizzata. Perché un popolo che accetta il declino è già morto. Ma un popolo che si ribella può ancora risorgere.