Il Procuratore di Catanzaro è diventato un punto di riferimento capace di riempire il corridoio che porta al suo ufficio di cittadini che vogliono denunciare. E il nostro posto è accanto a loro, ai familiari delle vittime di 'ndrangheta, nelle piazze dove si pretende giustizia e un futuro migliore per la nostra terra (ASCOLTA L'AUDIO)
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Una delle cose che proprio non va giù di Nicola Gratteri è che sia così popolare. Riesce a riempire le piazze calabresi e italiane di gente che vuole ascoltarlo, che vuole un selfie e una dedica sull’ultimo libro. Ma, soprattutto, Gratteri riesce a riempire il corridoio che porta al suo ufficio di cittadini che vogliono denunciare. Vogliono denunciare i soprusi del “mafiosetto” di turno, l’arroganza della burocrazia, il ricatto di chi chiede tangenti per fare il proprio dovere. Denunciare e non più stare zitti: questo è, forse, uno degli atti più rivoluzionari che esistano.
Il Procuratore di Catanzaro è il magistrato antimafia più popolare d’Italia e, probabilmente, uno dei più popolari del mondo. Questa sovraesposizione mediatica fa sì che ogni notizia su di lui abbia una enorme cassa di risonanza, nel bene e nel male. Come avviene da alcuni giorni per le “rivelazioni” del nuovo libro di Palamara, ad esempio. Ancora, penso alla lettura che da alcuni viene data a tutta la vicenda che ha portato alla concessione degli arresti domiciliari dell’avvocato Pittelli. O, per dirne un’altra, alle ultime votazioni del Csm che ha archiviato alcuni esposti presentati contro lo stesso Gratteri.
Il Procuratore è ovviamente consapevole della sua popolarità, che porta le persone a schierarsi da una parte o dall’altra. Spesso ci scherza su – “sembro una soubrette” – ma è proprio lì che sta la sua forza: nella gente, che in Calabria ha finalmente avuto un punto di riferimento, una bandiera, una speranza. La speranza di poter aprire un’attività commerciale senza che qualcuno la faccia saltare in aria (e succede ancora, purtroppo); la speranza che i prepotenti possano finire in galera, che la ‘ndrangheta possa essere contrastata efficacemente oggi e sconfitta definitivamente al più presto. Speranze semplici da declinare in un editoriale – me ne rendo conto – ma difficili da condividere quando si abita in territori nei quali ogni giorno ci si chiede dove sia lo Stato. Eppure anche in quei posti un po’ di speranza da qualche parte si trova.
E questo non può andare giù a chi è abituato a fare i propri comodi. Perché quando Gratteri colpisce a fondo, quando indaga lì dove nessuno aveva indagato finora, quando punta al cuore del rapporto tra ‘ndrangheta e massoneria deviata, la reazione di chi è colpito trova il “muro” dell’opinione pubblica. Tutto ciò non è irrilevante perché, come la storia insegna, la strategia di mafiosi, corrotti e corruttibili, prima di passare alle bombe si concentra sulla delegittimazione del magistrato in prima linea, attraverso una ben orchestrata macchina del fango. Delegittimazione che punta a fare il vuoto dentro gli apparati dello Stato e a creare uno stato di isolamento all’interno della comunità.
Tutto questo con Gratteri non avviene se non in modo assolutamente marginale, perché lui gode di grande prestigio all’interno degli apparati dello Stato. Un prestigio che il fango non può mettere in discussione: la costruzione in tempi record dell’aula bunker di Lamezia Terme e la presenza nel Distretto di Catanzaro di investigatori di prim’ordine, tra i migliori in assoluto, la dicono lunga sulla forza istituzionale del Procuratore capo. Gratteri è un grande organizzatore: da qui discendono molti dei suoi risultati e il carisma che riesce ad esercitare sui suoi collaboratori, che rendono granitica la sua credibilità.
Gratteri crea fiducia tra la gente, non affabula. Gli si chiede sempre se ha intenzione di entrare in politica (lui lo ha sempre escluso categoricamente) perché molti lo sperano, altri lo temono: quasi tutti sanno che avrebbe una valanga impressionante di consensi. Una volta in un paese della Piana di Gioia Tauro l’ho sentito rimbrottare pubblicamente gli amministratori locali che esercitavano al microfono l’arte molto nostrana del piangersi addosso. «Non voglio sentire più queste sciocchezze – ha detto a sindaco ed assessori – basta lamentarsi, dobbiamo reagire e cambiare le cose». Gli applausi liberatori hanno dato il senso di una Calabria che non vuole più scappare.
Torno a quel corridoio pieno di gente che vuol denunciare perché spesso ce ne dimentichiamo. Si parla tanto – anche giustamente – di persone coinvolte nelle operazioni che poi la magistratura giudicante scagiona, di persone da anni in attesa di giudizio. Ma si parla poco delle altre persone in perenne attesa di giustizia, i familiari delle vittime di ‘ndrangheta, la vecchietta a cui hanno sottratto il podere, il commerciante a cui hanno fatto saltare il negozio: quelli che sono lì, in quel corridoio della Procura di Catanzaro, perché sanno che Gratteri li riceverà e li ascolterà attentamente.
Si parla poco anche del percorso, del meccanismo giudiziario che porta alle misure di privazione della libertà personale, che nell’ordinamento italiano sono legate a una serie di procedure e di garanzie per l’indagato. Non c’è solo il Procuratore capo, che coordina e dirige l’ufficio: c’è la polizia giudiziaria, ci sono i sostituti e gli aggiunti, c’è il Giudice per le indagini preliminari che ordina gli arresti su richiesta del pubblico ministero, c’è un Tribunale del riesame che convalida o meno le misure cautelari. Eppure il controcanto si ripete sempre con lo stesso motivetto: Gratteri ha fatto arrestare questo, Gratteri ha fatto arrestare quello. E il motivetto riparte quando, com’è ovvio che sia, anche un’indagine che porta a tante condanne e conferma un solido impianto accusatorio nei Tribunali può avere delle assoluzioni. L’assoluzione viene usata su alcuni organi di stampa e in alcune dichiarazioni per insinuare dubbi sull’indagine, come se nel mondo la percentuale delle condanne nei processi che hanno decine e decine di imputati fosse sempre del cento per cento.
Anch’io pretendo che la giustizia sia giusta, che le persone innocenti siano velocemente liberate dal gravame accusatorio o, meglio, neanche sfiorate dalle indagini. Anch’io chiedo che i diritti costituzionali alla libertà siano garantiti: primo fra tutti, in Calabria, il diritto a essere liberi dalla ‘ndrangheta. E ritengo che Gratteri voglia restituirci la libertà rubataci dai mafiosi, che ci rifletta dieci volte prima di chiedere l’arresto di una persona nell’ambito di quel sistema di garanzie cui ho accennato prima.
Ritengo anche che alcune delle posizioni critiche siano in buona fede, ma penso che tante altre siano strumentali, se non conniventi. A chi è in buona fede dico che non mi va che il controcanto diventi venticello, che il venticello faccia schizzare fango, che quel fango sporchi la fiducia dei calabresi non in Gratteri ma nello Stato, nella possibilità che cambiare sia possibile.
Quando qualcuno ci chiede qual è il nostro posto, rispondo che è in quelle piazze dove si pretende ci sia una speranza anche per noi calabresi. È accanto ai familiari delle vittime di ‘ndrangheta che, come diceva il nostro amato e compianto Mario Congiusta, sono gli unici ad essere davvero “fine pena mai”. È in quel corridoio, davanti all’ufficio di Gratteri, vicino ai cittadini che denunciano: entrate, potete fidarvi.
*Direttore editoriale LaC News24