Scusate, siamo alla quarta ondata (en attendant la quinta?), come è possibile che ci colga ancora l'imprevisto del Covid-19, sia pure in variante diversa dalle varianti scorse? Scoprire di trovarsi impreparati, con tamponi che mancano e monitoraggio che qui si fa così e lì cosà? Ok, l'ultima pandemia è di un secolo fa, e si naviga a vista, ma se per la quarta volta si vira intorno allo stesso scoglio, dovremmo aver imparato qualcosa, o tocca chiedersi ancora se è questa o altra la manovra giusta?

Ci si sente un po’ a disagio nel trattare questi argomenti, con tono che sa di rimprovero più che di domanda, mentre in prima fila c'è chi affronta il male per noi tutti (e pure chi si distrae, però). Ma tacerlo sarebbe peggio. Chi segue il certosino lavoro che stanno facendo i nostri colleghi su queste pagine e su LaCtv, riferendo giorno per giorno, provincia per provincia (e continuando a riportare la lista dei buoni comportamenti cui ognuno di noi dovrebbe attenersi, per contribuire a contenere la propagazione del virus) non può non rimanere sconcertato dinanzi alle contraddizioni che vengono documentate e che potrebbero indurre a una scorretta lettura della reale situazione. Un paio di giorni fa, per dire, i contagi erano saliti di 321 in 24 ore, nella regione, ma 249 solo a Reggio e 72 nel resto della Calabria. Roba da far pensare a un focolaio pazzesco, per chissà quale incauto assembramento soltanto lì. E invece, la verità era esattamente opposta: a Reggio il picco si vedeva, perché ci si era attrezzati per vederlo; altrove non si era riusciti a fare altrettanto.

L'esempio più clamoroso del contrario era Cosenza. Dove scarseggia il personale che dovrebbe farlo. E uno pensa a medici, infermieri che... No, manca personale amministrativo, mentre proprio a Cosenza, dall'ospedale arriva una di quelle notizie che danno conforto e speranza, perché mostrano capacità di eccellenza, pur nei momenti in cui parrebbe comprensibile, se non accettabile, il “quel che si può, e per il di più aspetteremo tempi migliori”: una nonnina di 103 anni, ricoverata con già il 50 per cento di entrambi i polmoni compromessi dal virus, è stata salvata e risanata e ora la rimandano a casa, per il Capodanno! Vedo che è sfuggita una osservazione che, per chi ama le coincidenze, aggiungerebbe notevole suggestione alla notizia. 103 anni, vuol dire che la tenace nonnina è nata mentre infuriava la febbre spagnola, la peggiore pandemia della storia dell'umanità (100 milioni di morti, forse pure di più) e ha sconfitto pure quella di covid. Clonatele il dna (permette nonna?).

Poi, però, più si approfondisce, più la lettura della situazione in Calabria muta e si complica: i numeri non sono sempre comparabili, perché non giungono con regolarità e con le stesse scadenze, riferiti allo stesso arco di tempo, per cui in alcuni casi si hanno sommati quelli di un periodo più lungo da alcune zone e incompleti da altre, il che dà una colorazione infedele dello stato dei territori e può mostrare sbalzi in alto o in basso che possono indurre preoccupazioni o sollievo ingiustificati. Si accresce così la sensazione di insicurezza, nel pieno dei flussi di rientro dei fuorisede, chi per Natale, chi per Capodanno o entrambi, e quello che era già poco per i residenti diviene pochissimo per loro e gli altri (incluso i turisti che non hanno desistito e disdetto). La Calabria ha ospedali dismessi che sarebbero attrezzati già per funzionare da presidi anticovid, ma, ove non ci fossero altri ostacoli, mancano gli operatori sanitari, i medici.

La Sanità continua a essere il malato cronico della Calabria; il presidente Roberto Occhiuto, a poche ore dall'elezione, aveva annunciato che la sua prima impresa sarebbe stata il risanamento della Sanità, cosa che in Calabria equivale a quel che diceva Giulio Andreotti sui pazzi: ne esistono di due tipi, quelli che si credono Napoleone e quelli che si propongono il pareggio del bilancio delle Ferrovie. Far funzionare la Sanità calabrese (che però è anche capace di guarire una nonnina di 103 anni dal Covid, ed ha eccellenze notevoli ma misconosciute) è da pazzi in tempi normali, figurarsi in piena pandemia che ha sbarellato piani e credibilità di amministrazioni e amministratori (vedi i disastri della Lombardia) ben più consistenti, sulla carta, e con pregiudizio positivo a prescindere.

Occhiuto ha subito chiesto e ottenuto di essere nominato Commissario alla Sanità (e questo va bene, considerato che quelli mandati dal governo, da fuori, non han fatto meglio, ma quasi sempre peggio); ha scelto, come subcommissario, il colonnello dei carabinieri, Maurizio Bortoletti, che ha già ben fatto in Campania (e pure questa è stata una buona mossa); e sappiamo delle formalità e difficoltà che rallentano le azioni della cosa pubblica..., ma le persone non hanno, in media, né competenze per capirle, né molta pazienza per sopportarle: il Covid è adesso e adesso vogliono due cose contrastanti: maggiore tutela (spesso non facendo quanto potrebbero loro stessi in tal senso) e maggiore libertà di movimenti. Il neo-presidente, come ogni altro amministratore in situazioni così difficili, inedite, può chiedere tutte le attenuanti che vuole, non l'assoluzione: da chi sale sulla bicicletta, ci si aspetta che pedali, non che spieghi che le ruote sono sgonfie; questo lo si sapeva anche prima. Quindi, o il nuovo presidente vince questa sfida, o tutta la Calabria la perde (ancora?).

Entro pochi giorni, la regione potrebbe cambiare colore e se le previsioni (brutte) avessero conferma, soltanto dopo si raggiungerebbe il temuto picco (con nuovo cambio di colore, più cupo). È vero, questo vale per tutti, ma la Calabria è la meno attrezzata a fronteggiare il peggio. E non può permettersi di continuare a essere “la Calabria”, scoordinata e in ordine sparso.