Da qualche giorno ho il privilegio di osservare la mia Calabria più da vicino. La vita a volte ci spiazza. Proprio quando avevo deciso di portare la mia testa altrove (il cuore, quello mai) senza pensarci troppo ho accettato di essere direttore editoriale del Network LaC e, quindi, di un team d’eccellenza, con giornalisti e operatori di livello nazionale. Vedevo già la Calabria anche grazie ai loro occhi, da qualche giorno riesco a guardare in faccia ai problemi come non facevo da tempo. Ma questo privilegio ha un prezzo alto, perché mi obbliga a fare i conti con quel senso di colpa atavico che molti calabresi si portano come un peso. Come tanti mi sono sentito coinvolto, da cittadino, per fatti che hanno aperto grandi interrogativi, scavato inquietudini. Per fortuna i miei colleghi mi hanno anche fatto vedere una Calabria aperta, solidale, stufa di scaricabarile, consapevole che è necessaria un’assunzione collettiva di responsabilità.

I lettori e i telespettatori hanno colto, nel profondo, il senso della scelta di non pubblicare le immagini del rogo di Rende: una scelta etica, di umanità, che rifiuta il baratto visualizzazioni / dignità umana. A migliaia hanno sostenuto non noi di LaC, ma una visione del mondo e dei limiti che nessuno può permettersi di superare.

I ragazzi che hanno manifestato a Castrolibero, per sollevare il caso di presunte molestie sessuali da parte di un professore, hanno deciso di non voltarsi dall’altra parte davanti al grido delle loro compagne. Sarà la magistratura a stabilire se i fatti sono veri, se si tratta di una montatura, se ci sono state sottovalutazioni o complotti. Ma se i ragazzi non si sono voltati dall’altra parte neanche noi potevamo farlo e abbiamo deciso di seguire con rigore e lucidità questa vicenda.

La morte della piccola Ginevra – sulla quale mi voglio soffermare – ha assunto un rilievo pubblico e superato la dimensione del dolore familiare. La domanda è semplice: se il diritto alla salute realizza nella sanità il principio di eguaglianza fra i cittadini, perché Ginevra è stata portata in aereo fino a Roma, lontana da casa sua e dalle persone che la amavano, per essere curata al Bambin Gesù? Perché non abbiamo potuto curarla nella sua terra, come avviene per altri cittadini italiani?

Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, che ovviamente non ha responsabilità dirette nello sfascio attuale della sanità calabrese, ha fatto sua la spiegazione dei dirigenti sanitari (e non poteva essere altrimenti, in assenza di elementi diversi).

A Ginevra, affetta da una forma grave di polmonite sviluppata dopo aver contratto il Covid, serviva l’Ecmo, una procedura che permette l’ossigenazione extracorporea del sangue attraverso un macchinario complesso. Ma la Calabria non ha questo macchinario perché da un punto di vista manageriale, organizzativo, funzionale, economico, non è conveniente. È costoso e difficile da gestire, servono figure professionali altamente qualificate. Così gli ospedali del Mezzogiorno hanno Roma come punto di riferimento.

In attesa di sapere dalle indagini interne disposte da Occhiuto e dagli accertamenti delle autorità preposte se ci sono stati ritardi o omissioni nella gestione, la risposta non può bastare. Non perché non abbia una sua apparente, rigorosa linearità, ma perché dice poco o nulla a chi ha il bisogno di dare un senso alla morte di Ginevra, a tutte le morti di Covid o di sanità negata.

L’essenza del problema l’ha colta molto bene il sindaco di Mesoraca, il paese dove viveva Ginevra. «Ognuno di noi deve sentirsi responsabile di quanto accaduto» ha detto il primo cittadino Annibale Parise ai microfoni della nostra inviata Cristina Iannuzzi. «Dobbiamo pretendere di più. Appena abbiamo un problema più serio di una banale appendicite, la prima cosa che pensiamo tutti è quella di prenotare un aereo per farci curare fuori. E questo è inaccettabile». Parole legate con un nodo che nessuno ha mai provato a sciogliere davvero. Perché in Calabria è capitato di morire anche per un’appendicite. Come a Vibo, che da quindici anni piange Federica Monteleone.

La spiegazione sull’impossibilità di avere l’Ecmo in Calabria magari può liberare dalle responsabilità i medici che hanno gestito la vicenda della sfortunata Ginevra, ma non può suonare come un’assoluzione per la politica, per la potente burocrazia regionale, per chi gestisce forniture e appalti. Per chi, operando nella sanità, è responsabile delle vite umane anche se a volte si preoccupa più delle carte bollate. Per chi, infine, ha il dovere di controllare, compresi noi che lavoriamo nell’informazione.

Il più grande scrittore calabrese, Corrado Alvaro, scriveva: “Certo, è ridicolo che io ti chieda scusa del tempo, del secolo, dell’epoca,del mondo come va. Ma ognuno è responsabile del suo tempo”.

Il presidente Occhiuto certamente ha poco o nulla di cui scusarsi per quello che è avvenuto. Ma è responsabile del suo e del nostro tempo esattamente come noi, in quanto cittadino. Anzi lo è molto di più, per le responsabilità che ricopre nella qualità di presidente della Regione e commissario alla sanità. A pochi mesi dalla sua elezione gode del vento dell’opinione pubblica, ma anche del consenso trasversale dei partiti. E questo accresce il peso delle attese nei suoi confronti.

Perché potranno esserci sempre spiegazioni plausibili. Ci saranno sempre carte bollate che porteranno a un groviglio kafkiano in cui nessuno ha torto perché nessuno ha ragione. Ma possiamo iniziare a spazzare via tutto questo solo se chi ha il potere di cambiare le cose si farà carico della domanda degli abitanti di Mesoraca e, sono certo, di tanti calabresi: se Ginevra fosse nata a Roma, a Firenze, a Napoli, avrebbe avuto una possibilità?