In 180mila hanno deciso di andare via negli ultimi 15 anni. Tra quelli che restano in pochi intraprendono percorsi formativi o riescono a trovare un impiego. Eppure qualcosa si muove, con il settore agricolo che traina una lentissima risalita occupazionale
Tutti gli articoli di Economia e lavoro
PHOTO
Vanno via e spesso non tornano più. I giovani continuano a lasciare la Calabria con ritmi che ricordano l’epopea dell’emigrazione che coinvolse i loro nonni e bisnonni a metà del secolo scorso. In 180mila hanno lasciato la Calabria negli ultimi 15 anni (rilevazione Demoskopica), con un giovane su due che ha scelto il nord Italia e il 15,8% che invece è andato all’estero, mentre il resto ha scelto altre regioni del Sud e del Centro.
Quelli che restano devono fare i conti con un panorama formativo e occupazionale che offre opportunità scarsissime. Il risultato, secondo lo Svimez, è che circa 178mila giovani calabresi tra i 15 ed i 34 anni non lavorano né studiano. Sono i cosiddetti Neet, acronimo inglese per “not in education, employment or training”. Insomma, niente di niente. La loro incidenza sul totale della popolazione in età corrispondente era nel 2018 al 39,3%, come dire che per 4 giovani su 10 non c’è alcuna alternativa al divano di casa e alla famiglia che li mantiene.
Di questi, 65mila sono comunque in cerca di un’occupazione che non trovano, mentre 113mila hanno smesso di cercare, convinti che non ci sia alcuna possibilità di trovare un lavoro adeguato alle loro aspettative o al loro titolo di studio. Il 60%, infatti, è diplomato o laureato, ma di quel pezzo di carta non sanno che farsene, almeno in Calabria.
Eppure, sebbene la punta dello Stivale continui a collezionare maglie nere nelle classifiche nazionali ed europee, restando la regione col tasso di disoccupazione più alto in assoluto, il 42,2%, qualcosa si muove, grazie alla lenta risalita dopo la grande recessione che ha fiaccato l’Italia e il mondo dal 2008 al 2013.
Sempre secondo lo Svimez, la Calabria si caratterizza per una ripresa incerta e a sprazzi che prende vigore solo sul finire del 2016. Circa la metà dei 62 mila occupati persi nel corso della fase recessiva è stata recuperata e il numero degli occupati nella media del 2018 è risultato pari a 551mila unità, circa 14mila unità in più rispetto all’anno precedente, pari al +2,6%.
L’aumento dell’occupazione ha riguardato di più gli uomini (+2,9% a fronte del +2,2% delle donne), con una flessione però dei contratti a tempo indeterminato (-3,6%) e una crescita di quelli temporanei (+21,3%). Il settore dove maggiore è la ripresa occupazionale è quello agricolo (7,7% di occupati in più), mentre l’incremento nei servizi è solo del 2,5% e appena dello 0,9% nell’industria.
Focalizzando l’attenzione sulle province, Svimez rileva che nell’ultimo anno è stato il territorio reggino a far registrare il maggior incremento di occupati, seguito dalle province di Cosenza e Catanzaro. Ma sono solo lampi di luce che non riescono a dissipare il buio della mancanza endemica di lavoro, come dimostrano le circa 152mila le persone che nel corso del 2018 erano alla ricerca di un’occupazione.