I sanitari auspicavano un utilizzo in pianta stabile in uno dei tanti presidi clinici del territorio, ma finita l'emergenza adesso corrono invece il serio rischio di ricevere uno sbrigativo benservito
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Professionisti… usa e getta. Celebrati eroi quando serviva, mentre cioè di Covid ancora si moriva in modo copioso, gruppo in eccedenza da scaricare terminata la fase emergenziale. Solita storia italiana e calabrese. Che nemmeno stupisce più. Ma che i diretti interessati, un'ottantina circa di infermieri impiegati negli hub vaccinali di Catanzaro e Lamezia, non sono affatto inclini ad accettare passivamente.
Tanto più che, almeno per ora, sono rimasti con un pugno di mosche in mano o quasi. Vale a dire, nello specifico, un contratto da appena 12 ore settimanali (sceso a tale quota dalle trenta iniziali, già quasi dimezzate a 18 di recente) in scadenza, per di più, il prossimo 31 ottobre. Eppure, erano stati assunti tramite bando ad hoc a fine 2020 nelle vesti infermieri scolastici, sempre allo scopo di fronteggiare il devastante impatto del Coronavirus, anche nelle classi e fra gli studenti, per passare a metà 2021 nei due poli vaccinali a cui per un determinato periodo di tempo si è aggiunto il più piccolo Centro aperto a Davoli. Ma vi è di più.
Se negli istituti scolastici c'era una certa flessibilità in ordine all'orario di lavoro, non così negli hub. In cui, sebbene il Cococo sottoscritto dagli infermieri non prevederebbe il vincolo della subordinazione, a questo personale è di fatto stato imposto un orario preciso per lo svolgimento delle proprie attività, compreso durante i giorni festivi anche del periodo natalizio e pasquale, senza peraltro nessuna autonomia nella gestione della prestazione da considerare, quindi, alla stregua di una subordinata. Non di una autonoma.
Allo stato attuale, però, dopo aver precettato i sanitari nella fase più critica dell'emergenza pandemica, quando cioè necessitava una campagna vaccinale di massa per limitare di molto lo spaventoso numero di decessi, sembra quasi ci si indirizzi sulla via di dare loro un frettoloso benservito. Il motivo? Manco a dirlo, la mancanza di fondi per garantire nuovi contratti.
Che invece di avere tutele crescenti si sono, per così dire, rivelati gravati da una specie di conto alla rovescia, indirizzato verso il loro esaurimento. È la ragione per cui tanti dei citati infermieri, benché siano in fase di agitazione per quanto successo (pur non astenendosi dal lavoro), sono dunque tentati di accettare qualche chiamata temporanea, pur nella consapevolezza di perdere in quel caso ogni diritto all'assorbimento da parte dell'Asp del capoluogo per l'opera prestata.
Un prezioso impegno profuso nella fase di somministrazione del siero anti-Sars Cov 2. Gente che, lo si ribadisce, ora inizia a non servire più nell'ottica del contrasto al terribile virus, considerata la fine della fase acuta della sua circolazione e il conseguente calo delle vaccinazioni. Oltretutto ormai svolte in numero tale da coprire, con ben tre dosi inoculate, la quasi totalità della popolazione.
È così che quanti hanno fronteggiato una mole di lavoro spaventosa, e anche rischiosa soprattutto per chi di loro aveva ad attenderlo figli in tenera età o comunque giovanissimi a cui poteva trasmettere la malattia contratta nei poli vaccinali, vengono adesso impiegati con un monte ore settimanale minimo.
Al pari della paga, del resto. Entrambe troppo esigue naturalmente, tanto da poter a breve costringere qualche madre e padre di famiglia fra gli infermieri a guardarsi intorno per portare uno stipendio adeguato a casa. La maggior parte tuttavia, quantomeno al momento, non lascia la postazione legittimamente occupata e non recede da sacrosante istanze di inquadramento a tempo indeterminato in un presidio clinico dell'Asp sulla scorta di quanto previsto dalla formula contrattuale originaria non applicata nel modo corretto.