Il Piano nazionale di ripresa e resilienza non prevede nessuna grande opera infrastrutturale dal Pollino allo Stretto e i Comuni non hanno tecnici per elaborare i progetti finanziabili. Ma c’è chi accusa il Meridione di incapacità amministrativa e punta ai fondi non spesi (ASCOLTA L'AUDIO)
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A furia di parlare del futuribile (ovvero Ponte sullo Stretto e Autonomia differenziata) alla politica italiana è sfuggito l’immanente, ovvero il Pnrr. Così in tanti hanno finto sorpresa rispetto alla decisione di Bruxelles di sospendere il pagamento all’Italia della terza rata da 19 miliardi di euro. Uno stop volto a chiedere un supplemento d’istruttoria su alcuni progetti. In particolare sono due quelli che non convincono Bruxelles: il bosco dello sport a Venezia e il nuovo stadio a Firenze. Eppure solo pochi giorni prima la Corte dei Conti aveva diffuso dei dati in base la spesa certificata dall’Italia era solo il 6% della misura e calcolava un ritardo di circa 15 miliardi rispetto ai target imposti dall’Europa.
Dito puntato contro Draghi
Ma se questo è il problema immanente, quello di lungo periodo è capire cosa l’Italia riuscirà a mettere a terra entro il 2026. I retroscenisti raccontano di una riunione infuocata della cabina di regia del Pnrr che si è tenuta subito dopo il Consiglio dei Ministri. La premier Meloni non ha inteso partecipare, ma il ministro per il Sud Raffaele Fitto, che ha la delega anche sul Pnrr, ha strigliato i suoi colleghi perché il rischio di non centrare molti degli obiettivi fissati è molto alto.
La premier ha provato a svincolarsi puntando il dito verso il suo predecessore. Per la Meloni la colpa è tutta di Draghi che non ha saputo impostare il piano. Anche Matteo Salvini fa orecchie da mercante rispetto a questo nodo, pompando invece il suo nuovo Codice degli Appalti. Per il viceministro le nuove regole taglieranno dai sei mesi ad un anno i tempi dei cantieri, confermando fiducia alle imprese e ai professionisti italiani. Una riforma che, lascia intendere il leghista, potrebbe dare al Pnrr l’accelerazione necessaria. Peccato che il presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, l’abbia già bocciato per la sua eccessiva elasticità (si calcola che il 98% dei cantieri potrebbero essere affidati senza gara). Salvini non se ne preoccupa troppo e accusa anche lui Draghi «Conto che l’Europa ci tratti come Draghi», ha detto aggiungendo che c’è un po’ di troppa attenzione di Bruxelles sull’Italia.
La polemica tra Nord e Sud
Ma la polemica da Roma si è presto diffusa sul territorio. Gli amministratori del Nord sono convinti che il vero problema sia l’incapacità del Sud a spendere i soldi. Così prima il governatore della Liguria, Giovanni Toti, poi il sindaco di Milano, Beppe Sala, hanno proposto di spostare al Nord i soldi che restano immobili nel Meridione.
La Calabria è fra quelle realtà che hanno più difficoltà. La nostra regione è già partita male perchè nel Pnrr nazionale nessuna grande opera infrastrutturale è stata inserita nè la Ss 106 che adesso il Governo vorrebbe finanziare in 15 anni nè l’alta velocità o altro. La parte rimanente della misura è completamente affidata ai comuni che sono in grande affanno per come abbiamo già scritto tempo fa.
Nonostante tutto questo le dichiarazioni di Sala, ma curiosamente non quelle di Toti, hanno scatenato la reazione del presidente della giunta regionale Roberto Occhiuto. «La consistenza delle risorse che abbiamo ottenuto con il Pnrr deriva dal fatto che l’Europa ha assegnato più fondi all’Italia proprio per colmare i divari territoriali tra Nord e Sud. Alcuni territori del Mezzogiorno sono in difficoltà? Vero. Ma affrontare un problema significa trovare una soluzione, non acuirne un altro», ha detto ieri mattina intervenendo ad “Agorà”, su Rai 3.
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I Comuni calabresi
«Se non c’è sufficiente capacità amministrativa nelle strutture tecniche dei Comuni del Sud, bisogna intervenire in quella direzione, aiutandoli - ha aggiunto - Se ci sono tempi più lunghi per le autorizzazioni, bisogna semplificare maggiormente al Sud. Ma non è una soluzione dire ‘diamo i soldi non spesi al Nord’, così si crea un altro problema, e si acuisce il divario già esistente tra Nord e Sud». L’idea di Occhiuto è che il problema sia anche quello dei tempi della burocrazia per cui al Pnrr vorrebbe applicare il “sistema Zes” ovvero procedure super accelerate per ottenere tutti i nulla osta in tempi rapidissimi.
Il problema però come detto non sono solo le autorizzazioni e le carte, c’è un problema di capacità e consistenza del personale. Dopo decenni di tagli e blocco del turn over i dipendenti pubblici sono sempre di meno e sempre più anziani. Il meccanismo di reclutamento per il Pnrr è stato un vero disastro: a fine 2022 gli enti locali avevano assunto 2500 tecnici sui 15mila necessari per il Piano mentre nel frattempo il numero dei dipendenti totali nei Comuni è addirittura sceso. Il Governo fra l’altro ha previsto il divieto di procedere ad assunzioni ai comuni che si trovino in situazione di dissesto o predissesto. In Calabria sono circa i due terzi.
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Regole o non regole, quindi, il problema è stata una sottovalutazione politica del problema. Anche la Regione Calabria forse dovrebbe esercitare un maggior controllo e coordinamento dei comuni, cui tocca spendere il 65% delle risorse, per evitare ritardi e anche progetti in fotocopia. La cabina di regia calabrese però non si è mai riunita, anche perchè il Governo centrale nel frattempo aveva smontato quella nazionale.
Adesso il Governo è chiamato ad un surplus di diplomazia. Nel breve periodo per incassare la terza rata da Bruxelles, nel lungo per convincere l’Europa ad inserire maggiore flessibilità nei meccanismi del Pnrr. Il tempo ci sarebbe quindi per un colpo di reni, anche in Calabria perchè la situazione è di quelle da ora o mai più.