A prima vista potrebbe sembrare una buona notizia: il sole che splende, le temperature che rendono piacevole stare all’aperto e addirittura consentono di strappare ancora qualche altro bagno al mare. Uno strascico d’estate che può però riservare un colpo di coda tutt’altro che auspicabile. Perché se le più classiche delle belle giornate possono far sorridere chi in questi giorni, soprattutto in occasione del ponte dei morti, si è organizzato per viaggi e gite fuori porta, per chi più che la vacanza ha a cuore l’attività di cui vive hanno l’effetto contrario. Parliamo di agricoltura, di un caldo fuori stagione e di un allarme siccità che già da un po’ fa tremare l’intero comparto. Franco Aceto è il presidente di Coldiretti Calabria e sul concetto di “belle giornate” riferito a questo periodo esprime più di qualche dubbio: «Saranno belle per il settore turistico forse, ma per l’agricoltura sono una disgrazia».

Presidente, qual è il quadro in Calabria?
«Queste temperature fuori stagione creano problemi sia all’attività prettamente colturale sia a quella zootecnica. Se poi si associano alla scarsità delle risorse idriche i problemi possono diventare molto seri. Oggi abbiamo forti preoccupazioni soprattutto per il settore olivicolo e per quello agrumicolo. Nel primo caso, per l’ennesimo anno non si farà una raccolta normale, anzi ci sono aziende che prevedono di raccogliere zero e quindi di non avviare neppure la raccolta. Per quanto riguarda gli agrumi i danni potenziali riguardano la qualità della frutta».

Temperature ben oltre la media stagionale e, sottolineava lei, carenza d’acqua sono un mix letale per le coltivazioni.
«Il vero problema sono proprio le risorse idriche molto carenti. E sono carenti perché la stessa acqua che servirebbe per l’agricoltura è utilizzata anche per la produzione di energia idroelettrica. Un approccio basato sul fatto che le risorse dovrebbero poi essere rimpinguate dalle piogge stagionali, ma così non è stato. Questo ci deve far riflettere sulla programmazione futura. Già a partire dal prossimo anno la gestione dell’acqua in Calabria deve essere impostata in maniera diversa. Non si può dare priorità ai produttori di energia che giustamente fanno i propri interessi e lasciare indietro gli agricoltori se capitano stagioni come questa. Stagioni alle quali tra l’altro dobbiamo cominciare ad abituarci perché è già da un po’ di tempo che la situazione è questa: ogni anno diventa più critico rispetto ai precedenti, ogni anno i cambiamenti climatici generano allarmi maggiori e ogni anno la stagione estiva non solo si allunga ma presenta temperature leggermente sempre più alte. Se noi avessimo la disponibilità di adeguate risorse idriche in qualche modo riusciremmo a superare tutto anche se con difficoltà, qui però rischiamo tra pochi giorni di rimanere all’asciutto. Abbiamo già adesso pochi metri cubi disponibili per le colture, gli invasi sono quasi completamente svuotati».

Non esistono soluzioni emergenziali per salvare le produzioni di questo periodo?
«Se acqua non ce n’è non si può fare altro che guardare in maniera passiva quelli che saranno i danni al comparto agricolo e approntare delle soluzioni di lungo periodo. Purtroppo quest’anno c’è ben poco da fare, ma dobbiamo evitare che i prossimi anni ci ritroviamo in questa situazione».

Cosa si può fare?
«Chiediamo una maggiore attenzione alle concessioni di utilizzo delle risorse idriche da parte delle multinazionali dell’energia elettrica. La gestione dell’acqua deve essere in mano alla Regione Calabria che ne dispone secondo le esigenze del territorio. È una regola sancita per legge, l’acqua deve essere utilizzata secondo determinate priorità: prima per uso umano, poi agricolo e poi gli altri. La nostra è una regione ricca di acqua se gestita a dovere, e dove si fa agricoltura tutto l’anno deve essere a disposizione 12 mesi su 12. Siccome da qui a qualche anno scadranno le concessioni date alle multinazionali, in particolare per quanto riguarda i bacini della Sila, io mi auguro che non si facciano altri rinnovi: queste concessioni sono date sulla base di regole stabilite oltre 50 anni fa, ma in 50 anni è tutto cambiato».

Ci sono territori che stanno soffrendo più di altri?
«Stanno soffrendo tutti, a partire dal Pollino fino all’ultimo metro quadrato di Reggio Calabria. È una situazione diffusa in tutta la regione. Poi sicuramente ci sono delle aree più o meno critiche in relazione alla maggiore o minore presenza di acqua sul territorio: oggi Crotone è una di quelle più provate».

Avete già delle stime dei danni?
«Le stime possiamo farle solo a consuntivo. Sicuramente si prospetta una campagna drammatica per l’olivicoltura. Laddove si potrà avviare la raccolta la produzione è al di sotto del 50% e ci sono aziende che, come dicevo, la raccolta non la avvieranno neppure. Per quanto riguarda il settore agrumicolo capiremo meglio a partire dalla prossima settimana».

Parliamo di agrumi e viene in mente la Sibaritide: lì c’è anche il problema legato alla vertenza in corso al Consorzio di bonifica.
«Devo dire che vanno ringraziati i lavoratori – ai quali esprimiamo tutta la nostra solidarietà – che pur se in una fase delicata stanno cercando di garantire almeno i servizi essenziali. Però la situazione complessiva non è sicuramente rosea: se in questa fase non arriva agli agrumi il giusto quantitativo di acqua gli agricoltori si troveranno un prodotto che sarà fuori mercato. Un danno enorme, cioè la perdita dell’intero reddito dell’anno: loro fanno un anno di investimento, poi raccolgono e si ritrovano dei frutti che non sono commercializzabili».

Viene voglia di mollare tutto…
«Ci sono anche altri problemi. Per esempio dove si praticano coltivazioni foraggere e cerealicole e non c’è acqua per le irrigazioni: con questo caldo gli agricoltori neanche stanno coltivando perché se si semina e non arrivano le temperature giuste e magari un po’ di pioggia non esce nulla. Fare il lavoro, con tutti i costi che comporta, non vale la pena. E c’è il rischio che se si arriva a metà novembre con questa calura e poi inizia a piovere non si riesca più a fare nulla: migliaia di ettari non potranno più essere coltivati. Quindi in un periodo in cui si parla di sovranità alimentare, in cui c’è carenza di materia prima – mi riferisco al grano – al danno si aggiunge anche la beffa che quel poco che potremmo fare da noi, a causa delle condizioni climatiche, non riusciamo neppure a coltivarlo».