VIDEO | Un'azienda agricola del Catanzarese si è vista costretta a diminuire le superfici coltivate. Male anche nel settore olivicolo. L'importazione dall'estero di prodotti di bassa qualità abbatte i prezzi: «Spesso vendiamo sottocosto, ad arricchirsi è la grande distribuzione»
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La coltivazione di finocchi si estende per cinquanta ettari su un pianoro esposto al sole e al vento tra il mar Ionio e la statale 106, luogo divenuto barricata mobile per la protesta dei trattori che va avanti ormai ad oltranza da più di due settimane. Antonio Cosentino attraversa i filari di piante ed estrae dal terreno un finocchio, lo mostra quale simbolo di un prodotto di qualità probabilmente destinato al macero come avviene da quasi due anni.
10 centesimi
«Una volta si spendevano tre, quattromila euro ad ettaro, oggi con gli aumenti che si sono stati ci viene a costare oltre settemila euro», spiega l'agricoltore di Botricello, in provincia di Catanzaro. «Ma spesso il prodotto nemmeno lo vogliono, addirittura lo vogliono pagare a 10 centesimi ma produrre un chilo di finocchi a noi costa 20 centesimi. Il rischio è quello di non raccoglierli, lasciarli sul terreno o addirittura di trinciarli. Sono due o tre anni che più si va avanti più trinciamo, infatti abbiamo anche ridotto la superficie coltivata ma non abbiamo risolto niente. Vorrei solo capire dove vogliono portarci».
Concorrenza sleale
Il messaggio implicito è rivolto alla comunità europea e alle politiche agricole, bersaglio delle contestazioni. L'importazione dall'estero di prodotti a bassa qualità sui mercati europei abbatte il prezzo e introduce una concorrenza sleale che sul lungo periodo si è rivelata insostenibile per i coltivatori locali. «Non decidiamo noi i prezzi dei prodotti» spiega Pierluigi Trovato, titolare di un'azienda olivicola.
Sottocosto
I problemi sono comuni a tutto il comparto agricolo. «I prezzi sono imposti dal mercato e spesso siamo costretti a vendere sottocosto perché l'importazione estera influisce sulla produzione nazionale, con la differenza che i nostri prodotti sono però di alta qualità. Ad esempio, alcuni banditi dalla comunità europea poi ce li ritroviamo sugli scaffali dei nostri supermercati».
19 gradi a febbraio
«Senza contare che in Italia abbiamo la più alta tassazione rispetto ad altri paesi e anche questo diventa una voce di costo e ai cambiamenti climatici» prosegue nell'elenco delle criticità. «Siamo a febbraio e ancora stiamo irrigando. Quindi chi ha seminato, chi ha finocchi o ortaggi avrà certamente costi molto più elevati di produzione».
L'anello debole
«C'è una catena formata dall'agricoltore, dal trasformatore e dal distributore» spiega Luana Guzzetti, anche lei titolare di un'azienda olivicola.
«Chi si arricchisce è la grande distribuzione mentre l'agricoltore ha sempre meno. Le materie prima sono alle stelle, come il vetro, l'alluminio, il cartone poi ci sono i fertilizzanti e i fitosanitari aumentati esponenzialmente a questo si aggiunge l'importazione da paesi extra europei di prodotti a prezzi inferiore creando un vero e proprio dumping. L'agricoltore è l'anello debole della catena».
Le strane regole dell'Ue
«Basti pensare - prosegue - che lo scorso anno hanno chiuso circa 1.500 aziende agricole, dietro ci sono famiglie, sacrifici e progetti svaniti. Si sta affossando un'intera categoria per regole strane imposte dalla comunità europea».