«Quando piantiamo le cipolle non possiamo nemmeno alzare la testa», «Il capo ci parla sempre male, ci insulta, ma solo a noi africani, non agli italiani. Ci chiama fischiando, mai per nome». E ancora, «quando dobbiamo lavorare il cipollotto, lavoriamo anche fino a mezzanotte, il datore di lavoro con dei potenti fare, organizza la visuale a giorno per permetterci di lavorare».


Sono alcune delle dichiarazioni raccolte nell’indagine da cui è nato il libro “Lavoro indecente. I braccianti stranieri nella piana lametina”, a cura di Francesco Carchedi, Marina Galati e Isabella Saraceni della Comunità Progetto Sud ed edito dalla Rubbettino. Per presentarlo sono state scelte le celebrazioni per la Giornata Mondiale dei Poveri indetta da Papa Francesco.


Un fenomeno importante quello della tratta dei braccianti, un ombra ingombrante anche nella piana lametina, nonostante si tenda ad identificarlo con altri territori. In Calabria, ha spiegato a LaCNews24 Marina Galati, oltre che coautrice del libro anche responsabile della direzione dei servizi e degli interventi sociali della Comunità Progetto Sud, il 25 per cento dei braccianti è sfruttato. Non solo non ha un contratto, o non è in regola, ma viene sottoposto a condizioni che ne vanno a ledere la dignità.


Ecco perché diventa “lavoro indecente”. «Non si può definire lavoro ciò che non nobilita l’uomo ma, al contrario, è lesivo della sua dignità. Non è lavoro. E’ altro» ha affermato risoluto il vescovo Cantafora, mentre don Giacomo Panizza, presidente della Progetto Sud, ha sottolineato un altro versante della questione. Quello che vede i produttori vittime a loro volta. Vittime del sistema e del mercato. Perché se costretti a vendere, per esempio, le arance a cinque centesimi al chilo non sono messi nelle condizioni di pagare come dovrebbero chi quelle arance le raccoglie.


Nella piana ad essere sfruttati sono immigrati giovani, provenienti dall’area subsahariana, dal Bangladesh, Bulgaria e Romania. Nel caso dei lavoratori subsahariani risiedono per lo più nei centri di accoglienza straordinaria, negli Sprar, nei comuni della costa o alloggiano in modo abusivo, si legge nel libro, nel campo ex Ena del comune di Falerna Marina.


Ci sono poi le donne marocchine. Queste generalmente hanno un regolare permesso di soggiorno e un contratto di lavoro. Stessi standard per le donne bulgare impegnate per lo più nella raccolta di ortaggi, cipolla, pomodori e fragole.

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In tanti, specie marocchini, vivono nell’ex comune di Sambiase dove vivono da otto a 12 persone ad appartamento e dove pagano dai 200 a 280 euro per case dignitose. Nei luoghi in cui vi sono periodi di raccolta stagionale gli immigrati tendono invece ad accamparsi in case fatiscenti senza acqua, luce o gas. All'incontro di presentazione del volume, nel salone episcopale della Curia a Lamezia Terme, ha preso parte anche l'editore Florindo Rubettino

 Tiziana Bagnato