Per l'occasione il magistrato ha parlato ai presenti del suo ultimo libro "La costituzione attraverso le donne e gli uomini che l’hanno fatta"
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Alla terza giornata di Trame, il festival dei libri sulle mafie in corso a Lamezia Terme, è arrivata anche la partecipazione di Nicola Gratteri. Ieri sera, infatti, il procuratore della Repubblica di Catanzaro ha parlato alla platea che si è riunita in piazza San Domenico, per seguire l'incontro che ha visto protagonista il magistrato, il quale per l'occasione ha presentato anche suo ultimo libro.
Nel volume scritto a quattro mani con Antonio Nicaso, "La costituzione attraverso le donne e gli uomini che l’hanno fatta", si affronta un excursus storico che parte dalla Rivoluzione francese per giungere fino alla nomina di Pertini: “solo conoscendo la storia si può comprendere il presente”.
Si è trattata di una lunga chiacchierata intercorsa tra il giornalista Arcangelo Badolati e il procuratore Nicola Gratteri che ha restituito l’immagine di un uomo stanco nel corpo, ma non nello spirito. La conversazione ha fin da subito toccato alcuni punti cruciali delle più recenti vicende legate alla figura del magistrato: la scoperta di un possibile attentato la cui autorizzazione ha ricevuto gli echi di assensi americani. Si tratta di situazioni ormai note, ma non per questo meno terribili, ma ci si abitua a pensare che talune circostanze potrebbero presentarsi. Una affermazione si auto-impone, e Gratteri usa un tono leggermente più alto nell’esposizione: «che vita sarebbe se decidessi di cambiare mestiere?»
«La mafia a Lamezia era una mafia di serie A. Vi è stata una sottovalutazione, si combatteva la mafia a mani nude con un commissariato di quattro gatti. La mafia qui aveva un delirio di onnipotenza. Anche sulla vicenda dei netturbini ho letto le carte ed ho provato rabbia perché si poteva risolvere, c'è stata una congiuntura di eventi ma speriamo che si possa fare qualcosa. Spesso noi incontriamo collaboratori di giustizia dai quali cerchiamo sempre di sapere. Vi posso dire di non abbattervi: su Lamezia abbiamo fatto tante operazioni e ne faremo ancora». Si è espresso così Gratteri, sollecitato da Arcangelo Badolati a proposito della vicenda giudiziaria legata all’attentato di ndrangheta in cui persero la vita due innocenti lavoratori lametini nel 1991, Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano. Un caso irrisolto che, a distanza di oltre tre decenni, pesa sul presente di una città come Lamezia ancora sotto lo scacco dei clan.
Alle domande riferite alle recenti riforme e al referendum della scorsa settimana, la dichiarazione è netta e precisa: in un momento storico in cui il governo è di larghe intese e non presenta praticamente opposizione è possibile concepire modifiche normative relative al Csm, ma in riferimento al referendum si è trattata di una enorme perdita di tempo.
La priorità del governo non può essere l’improcedibilità o la patente a punti per i magistrati. Gli interrogativi che si pongono sono se sia questa la dote che si porta alle commemorazioni dai trent’anni delle stragi di mafia e se fossero questi i cambianti a cui personalità del calibro di Falcone e Borsellino ambissero. Interrogativi retorici che lasciano chiaramente intendere quale sia l’orientamento dell’attuale Governo: un esecutivo che si è espresso sui temi della mafia solo dopo più di un anno dall’insediamento e in risposta alla presenza televisiva del procuratore ad una nota trasmissione televisiva. Ed è sulle scomode verità che ricade la conversazione: un ricordo all’attentato di via d’Amelio, alle immagini brutali segnate dall’odore acre di morte che si respirava in quel momento; corpi martoriati, il ronzio insistente nelle orecchie di chi si trovava nei paraggi e la freddezza di un uomo ancora sconosciuto che ha la lucidità di sottrarre dal cruscotto la famosa agenda rossa di Paolo Borsellino.
Solo in seguito si capirà perché quell’agenda sia stata tanto temuta e sottratta, sarà la vedova Borsellino a dichiararlo: si trattava del diario del magistrato ucciso, gli appunti personali delle memorie di ogni singolo suo incontro. Finché questa agenda scomoda non sarà restituita, l’Italia non deve avere pace. Eppure le priorità dell’Italia pare siano altre, come trovare circa 28.6 milioni euro per la costruzione di alloggi posizionati in corrispondenza delle case circondariali che permettano gli incontri privati della durata di 24, ore con cadenza mensile, tra i detenuti e i propri coniugi.
Un monito viene rivolto anche contro la propria regione, immensamente amata e proprio per questo altamente criticabile: un luogo che vanta ben tre facoltà di giurisprudenza e che sforna un numero sproporzionato di avvocati e che nel contempo non ha nessun indirizzo di studi che punti al turismo.
Per concludere, riprendendo il libro oggetto della presentazione "La costituzione attraverso le donne e gli uomini che l’hanno fatta" edito da Mondadori, Nicola Gratteri sottolinea come sia importante conoscere la storia, perché solo attraverso la sua comprensione si può dare una giusta interpretazione della contemporaneità.
Per questo il libro parte dalle vicende della Rivoluzione francese e giunge fino alla carica del presidente Sandro Pertini: un uomo di elevata taratura morale che nella sua totale integrità ha rimproverato la madre che aveva cercato una raccomandazione per salvarlo da morte certa durante il conflitto. La storia ci insegna che lui si salverà ugualmente, forse proprio per riprendere la madre e lasciarci un insegnamento che è quello di non scendere a compromessi, neanche a costo della propria vita, una storia che ha il sapore del déjà-vu.
«Riforme non servono a nulla»
«Ho sempre detto che questo tipo di riforme che si stanno facendo da un anno a questa parte non hanno nulla a che vedere e non risolvono i problemi i bisogni di giustizia e quindi della gente» - ha detto il procuratore a margine dell'iniziativa. «Sicuramente queste riforme non miglioreranno la qualità della vita perché amministrare giustizia vuol dire anche questo. Purtroppo, l’improcedibilità l’abbiamo definita e sintetizzata come una ghigliottina, cioè come un qualcosa che non accelera la celebrazione dei processi in appello, anzi li stoppa, e quindi anche se c’è stata una sentenza di primo grado di condanna, se in appello non si concluderà entro due anni, è come se non ci fosse stata».