La Profezia, Il Vangelo secondo Matteo, i moti di Reggio del Settanta e la Lunga strada di Sabbia. L’intellettuale controverso e libero, brutalmente ucciso a Roma nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, maturò con la nostra terra un rapporto profondo e complesso
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Il rapporto tra Pier Paolo Pasolini e la Calabria fu complesso e tormentato ma anche intenso e, per lui, di grande ispirazione. Un riferimento su tutti è quello a Cutro, tra i set del suo capolavoro sulla vita di Gesù, Il Vangelo secondo Matteo, in cui recitò anche la giovanissima calabrese Margherita Caruso.
Ma anche Reggio Calabria, con i suoi moti del Settanta e città di origine dell'amica della scrittrice e autrice di teatro, pioniera del giornalismo, la reggina Adele Cambria. Lei recitò, da lui diretta, nel film Accattone e poi anche in Comizi d’amore, Teorema e La Ricotta.
Pasolini scoprì la Calabria nel 1956 e poi ne raccontò con intensità i paesaggi e le persone ne La lunga strada di Sabbia, un reportage realizzato nel 1959 e pubblicato sulla rivista Successo. Un viaggio coast to coast lungo l’Italia, con tappa anche in Calabria.
La lunga strada di Sabbia e i “cutresi banditi”
Un viaggio dopo il quale Pasolini definì i cutresi banditi, intendendo banditi dalla società. Per questo fu accusato di diffamazione. Pasolini spiegò il senso della sua definizione sulle pagine di Paese Sera (28 ottobre 1959): «Anzitutto a Cutro, sia ben chiaro, prima di ogni ulteriore considerazione, il quaranta per cento della popolazione è stata privata del diritto di voto perché condannata per furto: questo furto consiste poi nell’aver fatto legna nella tenuta del barone. Ora vorrei sapere che cos’altro è questa povera gente se non “bandita” dalla società italiana, che è dalla parte del barone e dei servi politici? E appunto per questo che non si può non amarla, non essere tutti dalla sua parte, non avversare con tutta la forza del cuore e della ragione chi vuole perpetuare questo stato di cose, ignorandole, mettendole a tacere, mistificandole».
La bellezza e la durezza
Immerso in questa consapevolezza, conoscendo della Calabria la bellezza e la durezza, nel 1964 Pasolini di questa terra scrisse: «In Calabria è stato commesso il più grave dei delitti, di cui non risponderà mai nessuno. È stata uccisa la speranza pura, quella un po’ anarchica e infantile, di chi vivendo prima della storia, ha ancora tutta la storia davanti a sé».
Il regista calabrese Mimmo Calopresti sceglie di chiudere il suo documentario sul naufragio a Steccato di Cutro, Cutro Calabria Italia, con la sua "Profezia". nei suoi versi, anticipando quella storia che sarebbe stata, già vedeva l'approdo in Calabria, da Crotone al reggino, a Palmi di milioni con il germe della storia antica.
Alì dagli occhi azzurri
«Era nel mondo un figlio e un giorno andò in Calabria (...) Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, a milioni, vestiti di stracci, asiatici, e di camice americane. Subito i Calabresi diranno, come malandrini a malandrini: “Ecco i vecchi fratelli, coi figli e il pane e formaggio! ” Da Crotone o Palmi saliranno a Napoli, e da lì a Barcellona, a Salonicco e a Marsiglia, nelle Città della Malavita (…). Essi sempre umili. Essi sempre deboli. Essi sempre timidi. Essi sempre infimi. Essi sempre colpevoli. Essi sempre sudditi. Essi sempre piccoli. Essi che non vollero mai sapere. Essi che ebbero occhi solo per implorare. Essi che vissero come assassini sotto terra. Essi che vissero come banditi in fondo al mare. Essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo. Essi che si costruirono leggi fuori dalla legge essi che si adattano a un mondo sotto il mondo. Essi che credettero in un Dio servo di Dio. Essi che cantavano i massacri dei re. Essi che ballavano alle guerre borghesi. Essi che pregavano alle lotte operaie.
Deponendo l’onestà delle le religioni contadine, dimenticando l’onore della malavita, tradendo il candore dei popoli barbari dietro ai loro Alì dagli occhi azzurri, usciranno da sotto la terra per uccidere usciranno dal fondo del mare per aggredire. Scenderanno dall’alto del cielo per derubare e, prima di giungere a Parigi per insegnare la gioia di vivere, prima di giungere a Londra per insegnare ad essere liberi, prima di giungere a New York per insegnare come si è fratelli, distruggeranno Roma e sulle sue rovine le porranno il germe della storia antica».
«Io so ma non ho le prove. Io so perché sono un intellettuale...»
Di Pasolini, unitamente a uno stile di vita disinibito e al processo per atti osceni e corruzione di minore dal quale uscì assolto, non può non riconoscersi la grandezza rimasta unica e rara di intellettuale che attraverso i “ragazzi di vita” seppe prevedere la decadenza dell’allora emergente, e oggi imperante, società dei consumi, la lacerazione oggi manifesta tra il centro e le periferie, le sue “borgate”.
Altrettanto profetico, con ogni probabilità anche della sua tragica morte inflitta per mano di persone ancora oggi ignote, fu il suo celebre articolo apparso sul Corriere della sera esattamente mezzo secolo.
Era il 14 novembre del 1974. Sul Corriere della Sera apparve il suo articolo Cos’è questo Golpe? Io so.
«Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
(…) Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero».
Un anno dopo, mentre lavorava al Romanzo delle Stragi, nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia, dove nel trentennale del 2005 è stato eretto dal Comune di Roma un monumento alla memoria consistente in una scultura di Mario Rosati, Pasolini fu ucciso in modo brutale.
Una morte brutale e un mistero fitto come la notte
La condanna di sapere, senza poterlo dimostrare, perseguita l’intellettuale anche dopo la sua morte. Il giovane Pino Pelosi, condannato per il suo assassinio, non agì da solo e forse non fu neppure lui tra coloro che massacrarono e uccisero Pasolini quella notte. Al pestaggio presero parte più persone, come riuscirono a scoprire anche Oriana Fallaci e Furio Colombo. Pesante e irriducibile è l’ombra dell’eversione nera e di un commando composto anche da malavitosi della Magliana che ancora avvolge quella notte rimasta senza verità. Sulla sua brutale uccisione non è stata mai fatta piena luce.
Libero
Figlio di Carlo Alberto Pasolini, militare iscritto al partito Fascista, che salvò anche il Duce dall’attentato del giovane anarchico Anteo Zamboni nel 1926, con il quale ebbe un rapporto conflittuale. Suo fratello minore era il partigiano Guido ucciso in Friuli dai partigiani comunisti unitamente a Francesco De Gregori, zio dell’omonimo cantautore. Una morte che generò un urlo di dolore nell’adorata mamma Susanna Colussi, che non fu mai dimenticato dal poeta. Non a caso fu lei stessa, da lui adorata, protagonista, nel ruolo della Madonna proprio nel “Vangelo secondo Matteo”.
Pasolini si era poi, comunque, iscritto al partito Comunista, ritrovandosi espulso per indegnità a causa della sua conclamata omosessualità. Dunque non ebbe padroni e non temette di andare contro anche i “suoi”, perché questo fa un uomo libero.
Controverso e libero sono certamente due dei suoi tratti. Pasolini fu un intellettuale, scrittore, poeta e regista, che non si lasciò ascrivere ad alcuna categoria e che sfuggì anche agli stereotipi politici. Questo è e resta la cifra della sua grandezza che alcuna violenza, anche quella più efferata con cui è stato ucciso, potrà offuscare o silenziare.
«In Calabria vorrei vivere e morirci, non di pace…ma di gioia»
«In Calabria Pasolini aveva evidentemente riconosciuto quella dimensione umana arcaica, autentica, quella verità che ricercava. Per questo ebbe modo di dire che in Calabria, e in particolare a Reggio, avrebbe voluto vivere e anche morire», ha ricordato Lidia Liotta In occasione del tributo reso a Reggio Calabria, qualche anno fa dal circolo del cinema Cesare Zavattini dal titolo emblematico “Comizio d’Amore”. Rassegna conclusasi con la riproposizione di un documentario, prodotto dallo stesso circolo anni fa, proprio per raccontare l’intenso rapporto che Pasolini ebbe con la Calabria. Un’indagine, all’epoca inedita e oggi sempre di grande attualità, arricchita dai contributi di Vito Barresi e Giovanni Scarfò.
E infatti proprio nel reportage lo stesso Pasolini così scriveva: «Riparto, mi perdo nelle Calabrie, sempre più Calabrie…Non c’è dubbio, non c’è il minimo dubbio che vorrei vivere qui: vivere e morirci, non di pace…ma di gioia: Comunque è chiaro che quello che si vocifera del Sud, qui c’è. Non è mica una chiacchiera che qui profumano zagare e limoni, liquirizia e papiri...il mio viaggio mi spinge nel Sud, sempre più a Sud: come un’ossessione deliziosa…».