È successo di nuovo: fermo amministrativo di 20 giorni e 3mila euro di multa per la  Sea-Eye 4, la nave Ong attraccata nel porto di Vibo Marina dopo aver fatto sbarcare il 29 ottobre 48 migranti salvati in mare dinanzi alle coste libiche. Insieme ai migranti giunti in salvo, c’erano anche le quattro salme di chi non era riuscito a superare la traversata, tra cui una bambina di 12 anni (abbiamo raccontato la storia del fratellino e della mamma qui).

La rabbia delle Sea-Eye

È la terza volta che la Sea-Eye subisce questo trattamento, l’ultima volta era accaduto a metà dello scorso agosto, con identiche sanzioni, quando era attraccata nel porto di Salerno al termine di un’operazione di salvataggio sempre al largo della Libia.

«Siamo arrabbiati – scrivono sui propri profili social dalla Sea-Eye - le autorità italiane hanno formulato un’accusa vergognosa per trattenere nuovamente la nostra nave per 20 giorni e chiederci di pagare una multa di circa 3.000 euro. Siamo stati accusati di non aver seguito le istruzioni estremamente aggressive della Guardia costiera libica, che sotto minaccia di ripercussioni violente ci aveva intimato in acque internazionali di lasciare il luogo delle operazioni». In quel momento, spiega la Ong era in corso un inseguimento tra ma motovedetta libica e un gommone carico di migranti: «La Guardia costiera libica ha molestato così tanto il gommone con circa 50 persone, che a bordo è scoppiato il panico e le persone sono cadute in acqua. Se non fossimo rimasti lì sarebbero morte ancora più persone. Non dovremmo essere puniti». L’organizzazione non governativa contesta anche giuridicamente le sanzioni, citando un proprio esperto: «L'Italia è politicamente disposta a condannarci all’inazione mentre la gente muore. E sta causando ancora una volta enormi danni finanziari a Sea-Eye attraverso multe e costi di accertamento».

La legge Piantedosi

All’indice finiscono ancora una volta le norme della legge Piantedosi del 24 febbraio 2023, che prevede, appunto sanzioni e blocco amministrativo delle imbarcazioni, come forma di deterrenza per i salvataggi in mare da parte delle Ong, che secondo il Governo e la maggioranza intervengono anche quando non c’è la necessità di farlo, conducendo poi i migranti in Italia.

Questione estremamente controversa che si è palesata in tutto il suo potenziale divisivo in occasione della conversione in legge del decreto Piantedosi, che fu oggetto di un durissimo scontro parlamentare tra chi, all’opposizione, parlava di volontà di criminalizzare le Ong e chi invece, nella maggioranza, sosteneva la correttezza della legge che «non vuole criminalizzare nessuno, ma regolarizzare l’attività di soccorso in mare». Il provvedimento – disse, durante il dibattito parlamentare, il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni - «pone regole di condotta in conformità alle regole del diritto del mare. Chiunque è in difficoltà nel mare va salvato, è un diritto sacro santo». A caro prezzo per la Sea Eye, però.