Con la rievocazione Cecilia Faragà, L’ultima Magara, fatto storico locale di portata universale e che potrebbe essere annoverato tra i marcatori identitari distintivi (MID) della Calabria, la vicenda umana e giudiziaria dell’ultima donna ad esser processata per stregoneria nella storia dell’umanità diventa oggetto specifico di programmazione culturale e progettazione turistica territoriale di Soveria Simeri. Un esperimento nuovo ed innovativo per un ente locale, coerente col progetto regionale di riscrittura emozionale ed esperienziale della narrazione turistica internazionale della destinazione Calabria.

Patrocinato dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco Mario Amedeo Mormile e co-finanziato dal ministero della Cultura, la rappresentazione teatrale è stata portata in scena nel centro storico del piccolo comune situato a 16 km da Catanzaro, 12 dalla costa ionica e 20 dalla Sila, dopo due mesi di preparazione da un cast di giovanissimi attori del territorio e di performer dell’associazione ILorazepam di Luciano Gagliardi. A guidarli sono state le attrici e autrici Emanuela Bianchi e Anna Macrì di Confine Incerto.

Il gruppo ha dato vita ad uno spettacolo itinerante che, attraverso i vicoli del paese, ha fatto sì che la popolazione soveritana facesse un salto nel passato, fino ai primi decenni del ‘700, anni in cui visse la concittadina Cecilia Faragò.

Secondo la definizione data nel 1997 dal comunicatore Lenin Montesanto e riportata nella tesi di laurea della giovane ricercatrice di Soveria Simeri Giusy Samantha Voce, discussa all’Unical negli anni scorsi e dal titolo I marcatori identitari distintivi come leva strategica per i nuovi turismi, è Marcatore Identitario Distintivo (MID) quell’elemento che dal punto di vista storico, culturale, paesaggistico, agroalimentare, antropologico, spirituale, scientifico etc. è riconducibile ad un determinato territorio, non necessariamente in modo immediato né preponderante, ma che può essere definito oggettivamente un unicum nel suo genere al mondo.

Quello presentato resta comunque un racconto di coraggio, ostinazione, caparbietà, una vicenda che parte nella Soveria del XVIII secolo e capace di cambiare, per sempre, il corso della storia universale: le vicissitudini di una donna, Cecilia, che per difendere la propria libertà si è dovuta opporre ad un contesto fatto di imposizioni, pregiudizi e superstizioni, trascinata in tribunale con l’accusa di aver ucciso un prelato attraverso le sue opere di stregoneria. Grazie alla sua forza e alla determinazione del suo avvocato (Raffaelli), il processo si concluse con un’assoluzione e col risarcimento per ingiusta detenzione alla presunta strega.

L’arringa fu così celebre e piena di prove inconfutabili (poiché essere conoscitrice di erbe officinali non ha nulla a che vedere con la magia!), tanto da spingere l’allora ministro Tanucci a riferire la vicenda al Re Ferdinando, il quale decise di abolire il reato di stregoneria nel Regno delle Due Sicilie e, subito dopo di lui, anche gli altri paesi europei si allinearono. – L’antropologa e attrice Emanuela Bianchi si è messa sulle tracce della Faragò già nel 2014 cercando di instaurare un dialogo con la comunità soveritana e con l’analisi e lo studio del testo di Mario Casaburi “La fattucchiera Cecilia Faragò: l'ultimo processo di stregoneria e l'appassionata memoria difensiva di Giuseppe Raffaelli”; fino a presentare, nel 2016, un suo spettacolo teatrale, un monologo da lei scritto e interpretato, al Fringe Festival di Roma, vincendo il Premio della Critica. Continuo tutt'oggi a portare avanti la ricerca sia artistica che antropologica in merito al tema della stregoneria e della magia nei nostri territori e – sottolinea la Bianchi – continuo a portare avanti questo spettacolo che nel tempo ha riscosso l'approvazione del pubblico che ha riconosciuto in Cecilia il riscatto di una donna forte, che lotta per la giustizia e per la dignità umana.