Il professore e giornalista calabrese parla del disordine democratico del nostro tempo: «Più informazioni abbiamo a disposizione, meno sembriamo capire il mondo che ci circonda»
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Il nostro tempo è una "mediarchia" (social e IA). L'analisi è di Francesco Pungitore, giornalista e docente di Filosofia, autore del saggio di prossima pubblicazione: "Mediarchia: una definizione del nostro tempo". Dopo aver lavorato a lungo tra Catanzaro e Roma, Pungitore da sei anni vive in Piemonte, ma mantiene radici in Calabria. Si occupa di intelligenza artificiale e nuove tecnologie ed è il direttore tecnico dell'Osservatorio Nazionale Minori e IA che ha sede a Torre di Ruggiero, istituito con il sostegno dell'Università eCampus.
Siamo nell’epoca del diluvio dell’informazione, delle notizie. Ne piovono a valanga, senza un ordine o un senso. Ce ne sono così tante che creano una grande confusione, non si distinguono, non si comprendono, alla fine scivolano via senza lasciare traccia. Su questo chiediamo l’opinione del professore Pungitore.
«Sì, ha perfettamente ragione. Ci troviamo in quella che io definisco "anarchia dell'informazione", uno dei due aspetti fondamentali della mediarchia. Questo diluvio informativo crea un paradosso: più informazioni abbiamo a disposizione, meno sembriamo capire il mondo che ci circonda. La sovrabbondanza di notizie, spesso non verificate o decontestualizzate, genera un rumore di fondo che rende difficile distinguere il segnale, cioè l'informazione realmente significativa»
Questo fenomeno non è casuale.
«No, è il risultato di un ecosistema mediatico che privilegia la quantità sulla qualità, la velocità sulla profondità. La conseguenza è una sorta di paralisi cognitiva: bombardati da stimoli continui, finiamo per sviluppare una sorta di indifferenza o apatia informativa. Le notizie, come lei giustamente osserva, scivolano via senza lasciare traccia, creando una società sempre più disconnessa dalla realtà fattuale e sempre più vulnerabile alla manipolazione»
Siamo nell’epoca digitale, in una società dove tutto è digitale. La rete ha spalancato la porta a chiunque abbia qualcosa da dire, non importa se vero o falso. E nessuno è in grado di gestire questo "disordine democratico".
«Il ‘disordine democratico’ che lei menziona è, in effetti, un riflesso della pluralità di voci che ora possono farsi sentire. Questa diversità è fondamentalmente positiva, ma richiede nuovi strumenti per essere gestita efficacemente. La soluzione non sta nel limitare questa libertà di espressione, ma nell'educare e responsabilizzare i cittadini. Dobbiamo sviluppare una nuova forma di alfabetizzazione mediatica che permetta a tutti di navigare criticamente questo mare di informazioni».
Sarà necessario ripensare le nostre istituzioni.
“Sí, e anche i nostri processi democratici per adattarli a questa nuova realtà. Potrebbero emergere nuove forme di governance partecipativa, supportate dalla tecnologia, che permettano una gestione più efficace e inclusiva di questo flusso informativo. In ultima analisi, questo "disordine" è un'opportunità per rinnovare e rafforzare la nostra democrazia, rendendola più resiliente e rappresentativa nell'era digitale.”
E nel frattempo è arrivata l’intelligenza artificiale, destinata a provocare una nuova rivoluzione. Adesso c’è da capire cosa succederà a quello che resta dell’informazione.
«Il rischio è che l'IA possa esacerbare i problemi già esistenti nella mediarchia: la proliferazione di fake news, la creazione di bolle informative ancora più impermeabili, la personalizzazione estrema dei contenuti che potrebbe ulteriormente frammentare il discorso pubblico. Tuttavia, credo che il futuro dell'informazione non sarà determinato dalla tecnologia in sé, ma da come sceglieremo di utilizzarla».
Dobbiamo anche capire cosa ne sarà del giornalismo.
«Il giornalismo del futuro dovrà reinventarsi, concentrandosi su ciò che l'IA non può replicare: il pensiero critico, l'empatia, la capacità di contestualizzare e interpretare gli eventi in modo profondo e significativo. In questo scenario, il ruolo del giornalista evolverà da mero fornitore di informazioni a curatore e interprete, guidando il pubblico attraverso la complessità del panorama informativo potenziato dall'IA. La sfida sarà mantenere l'integrità e l'etica giornalistica in un ambiente in rapida evoluzione, utilizzando l'IA come strumento per potenziare, non sostituire, il giudizio umano»
Chi controlla l’informazione, controlla il potere. Così credevamo. Oggi forse sarebbe più corretto dire che chi controlla la disinformazione controlla il mondo. Le fake news falsano perfino le elezioni, ed è già successo negli USA.
«Ha centrato un punto cruciale della nostra attuale situazione. La manipolazione dell'informazione è diventata infatti uno strumento di potere ancora più insidioso del controllo diretto dei media tradizionali. Tuttavia, ritengo che questa sfida rappresenti anche un'opportunità per rinnovare e rafforzare i nostri sistemi democratici».
A questo punto proviamo a capire se c’è una soluzione, una via d’uscita.
«La soluzione non sta nel restringere il flusso di informazioni, ma nell'empowerment dei cittadini attraverso l'educazione e la promozione del pensiero critico. Allo stesso tempo, è necessario un approccio regolatorio più sofisticato per le piattaforme digitali, che le responsabilizzi senza soffocare la libertà di espressione. Questo potrebbe includere maggiore trasparenza sugli algoritmi e politiche più robuste per contrastare la disinformazione coordinata».
A rischio anche la tenuta e la certezza delle libere elezioni. E quindi anche della democrazia.
«Le elezioni USA che lei cita sono un campanello d'allarme. Possiamo usare questa consapevolezza per costruire sistemi elettorali più resilienti, con maggiori controlli e bilanciamenti contro la manipolazione dell'informazione. In ultima analisi, la lotta contro la disinformazione è una lotta per preservare e rinnovare la nostra democrazia nell'era digitale. È una sfida che richiede l'impegno di tutti: cittadini, istituzioni, media e piattaforme tecnologiche. Solo attraverso uno sforzo collettivo possiamo sperare di costruire una società più equa, trasparente e democratica».
Pensavamo fosse impossibile, eppure stare con il telefonino sempre in mano, anche a tavola e in camera da me, è veramente accaduto. Al ristorante si vedono le coppie che più che parlare fra loro, chattano con altri. Ma cos’è questo disperato e incessante bisogno di comunicare, di raccontarsi, di stare ininterrottamente collegati?
«Questo fenomeno che lei descrive è un aspetto centrale di ciò che nel libro definisco come la condizione esistenziale della mediarchia. Ciò che osserviamo non è semplicemente un'abitudine tecnologica, ma un profondo cambiamento nel modo in cui percepiamo noi stessi e il nostro rapporto con il mondo».
Nel saggio, lei analizza questo comportamento attraverso il concetto di "Io performativo".
«Nella mediarchia, l'individuo si trova costantemente su un palcoscenico digitale, dove ogni momento della vita diventa potenziale materiale per una narrazione pubblica. Il bisogno incessante di comunicare e di essere connessi nasce da una nuova forma di validazione esistenziale che si può riassumere nel motto "pubblico, dunque sono"».
Da cosa è alimentato questo comportamento?
«Questo comportamento è alimentato da meccanismi psicologici profondi. Le notifiche, i like, i commenti agiscono come rinforzi positivi intermittenti, creando schemi di dipendenza comportamentale simili a quelli osservati negli esperimenti di psicologia comportamentale. Tuttavia, questa iperconnessione paradossalmente può portare a una profonda disconnessione da sé stessi e dagli altri, una "dissonanza identitaria digitale". Questo fenomeno ci invita a ripensare profondamente cosa significhi essere umani e in relazione nell'era della mediarchia».
"La mediarchia" vuole lanciare un messaggio. E si rivolge un po’ a tutti.
«Il messaggio centrale è che stiamo vivendo una trasformazione radicale del nostro rapporto con l'informazione e la comunicazione, che sta ridefinendo la nostra percezione della realtà e il modo in cui costruiamo la nostra identità. Il libro si rivolge a un ampio spettro di lettori, dall'accademico al cittadino comune, passando per professionisti dei media, policy maker e docenti».
A questo punto possiamo immaginare quale sia l’obiettivo.
«L'obiettivo è fornire a ciascuno gli strumenti concettuali per comprendere le sfide del nostro tempo. Non si tratta solo di un'analisi teorica, ma di un invito all'azione: comprendere la mediarchia è il primo passo per adattarsi consapevolmente a questa nuova realtà, per plasmare attivamente il nostro futuro digitale».
In ultima analisi, "Mediarchia" vuole stimolare una riflessione critica.
«Esattamente una riflessione su come possiamo, come individui e come società, affrontare questo nuovo ecosistema informativo, preservando i valori umani fondamentali e la nostra capacità di connessione autentica»