C'è pure la Calabria tra le terre raccontate dal grande inviato di guerra, scomparso ieri all'età di 92 anni, nel volume dato alle stampe nel 2003. A Reggio, ospite del Rhegium Julii, raccontò le cronache di “Kabul” e nel 2008 la sua vita randagia con “Ma nemmeno malinconia”
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«Puoi aver fatto il giro del mondo ma se un giorno ti capita di passare per Serra San Bruno, in Calabria, sei aggredito da una sensazione mai provata altrove: come fossi risospinto di colpo nel passato, con un tuffo indietro di mille anni. I tuoi polmoni sono invasi dall'aria mistica del più mistico monastero medioevale e, al tempo stesso, dal fumo del carbone di legna, che cuoce nelle carbonaie sulla montagna: prodotto con una tecnica che risale, inalterata, ai Fenici».
Dopo le miniere di sale in Nigeria, il grande inviato di guerra del Corriere, Ettore Mo, scomparso ieri all'età di 91 anni, parla dei carbonai sopravvissuti alle carbonaie disseminate nei boschi di Serra San Bruno, nel vibonese in Calabria. Nel suo volume "I dimenticati" dato alle stampe con la Rizzoli nel 2003 e impreziosito dalle foto di Luigi Baldelli, trovano spazio tante storie “ultime”. I guerriglieri bambini della Colombia e quelli del Vietnam che nascono deformi per gli effetti dell'Agente Arancio. Le popolazioni del sud-est della Nigeria colpite dalla cecità dei fiumi, gli sciamani siberiani, i ragazzi di strada svedesi, gli ospiti di una casa di cura viennese, i volontari delle biblioteche rurali del Perù, che percorrono i villaggi delle Ande con zaini carichi di libri. E in mezzo a questa umanità ai margini di un mondo globalizzato, tra queste terre lontane esplorate con il desiderio di accoglierle e comprenderle, anche la Calabria con le tinte scure del carbone e quelle intense dell'ineffabile spiritualità nella Certosa di Serra San Bruno.
Il colore dell'inchiostro e i carbonai sopravvissuti
«Ha il colore dell'inchiostro ed è sostanzialmente costituita da una mezza dozzina di carbonaie disseminate nei boschi, è accessibilissima: basta rassegnarsi a un continuo saliscendi su sentieri fangosi tra abeti e piante di faggio non ancora spogliate dall'autunno. La legna arde lentissimamente sotto le cupole di terra e al sottofondo musicale provvedono soltanto le accette sugli alberi e i rintocchi di qualche campanaccio. "Delle attività boschive - dice Sharo Gambino, anziano giornalista e scrittore serrano - molte si sono estinte. I carbonai resistono. Ma sono rimasti in pochi e, come gli indiani nelle riserve, i turisti li cercano per riprenderli con telecamere e macchine fotografiche"», scriveva il grande giornalista.
Il giornalismo per raccontare senza infingimenti
Per il grande inviato di guerra del Corriere della Sera, in Afghanistan, Iran e Jugoslavia, radicalmente contro il giornalismo embedded, il mondo aveva rappresentato la lente caleidoscopica attraverso la quale guardare la vita e l'umanità, illuminandole sempre e comunque.
"Sporche guerre", "Gulag e altri inferni", "Kabul", "I dimenticati", "Treni e Fiumi. Lungo le grandi strade d'acqua del pianeta". Poi ancora le emozioni, le avventure e una straordinaria umanità ne "Ma nemmeno Malinconia. Storia di una vita randagia", il racconto autobiografico di un grande reporter.
La passione per il giornalismo lo aveva colto in età avanzata. Lo aveva trovato, tra i rivoli di una vita avventurosa, e non lo aveva più lasciato. Dopo gli anni dell'infanzia sulle montagne tra Valsesia e Val d'Ossola, inizia al sua erranza. I soggiorni all'estero negli anni universitari, i tanti mestieri e poi gli uffici londinesi del Corriere della Sera.
Ogni viaggio, infinite storie da raccontare
Anche in Calabria aveva trovato storie pronte a rapirlo e a essere raccontate.
«Fondata nel 1091 da Bruno (noto anche come Brunone) di Colonia, rampollo di una famiglia aristocratica tedesca, che, affascinato dalla vita contemplativa, si mise in cammino per la Calabria dopo aver creato, in Francia, l'Ordine dei certosini. Sottoposta al più severo dei regolamenti monastici, la Certosa si è via via imposta come uno dei più grandi centri spirituali del Meridione d'Italia».
Storia e leggende si mescolano in questa atmosfera unica. Ma a volte restano solo le leggende. Così la Certosa «avrebbe ospitato e nascosto importanti e scomodi personaggi degli anni Quaranta e Cinquanta (...). Certo maggiore consistenza ha avuto, negli anni la vicenda di Ettore Majorana, il più brillante allievo di Enrico Fermi, che scomparve nel marzo del 1938, a soli trentadue anni. Secondo Leonardo Sciascia, il giovane scienziato morì suicida perché angosciato dagli sviluppi che la fissione atomica avrebbe potuto avere, e che ebbero conferma la mattina del 6 agosto 1945 a Hiroshima. L'ingresso clandestino nella Certosa sarebbe stato "una pietosa bugia" per alleviare il dolore dei genitori di Majorana, affranti e sconvolti dall'idea che il loro figliolo avesse potuto togliersi la vita per il rimorso. (…). Categoricamente smentita anche la presenza, a Serra San Bruno, di uno dei piloti americani che sganciarono la bomba su Hiroshima. In realtà, un soldato yankee era entrato nel monastero e per qualche anno aveva indossato il saio col nome di padre Antonio. Si chiamava Lennann Leroy, il suo rimorso era però legato alla guerra di Corea, niente a che fare con la prima atomica caduta sul Giappone (…)».
Dal lato mistico e quello “nero”
«L'altra faccia della medaglia, tutta nera, è più su, verso il crinale del Pecoraro, che adesso è incappucciato dalle nuvole. Appena scendi il sentiero senti l'odore (il profumo) della legna che brucia. Le carbonaie sono mammelle o gobbe di terra più o meno delle stesse dimensioni (quattro/cinque metri di altezza e quindici di diametro) disposte sui terrazzi a piazze ripuliti di piante e arbusti. Si tratta di fornaci con un cratere centrale, o camino, dentro cui vengono ammassati i tronchi che il fuoco alimentato dall'alto carbonizza lentamente senza ridurli in cenere. Con lunghi pali acuminati, i carbonai fanno diecine di buchi nei cumuli di terra, che chiamano fumarole e consentono la fuoruscita del gas dalle fornaci.
Quando il fumo, inizialmente azzurro, diventa bianco significa che la cottura è giunta alla fase finale e che i faggi e lecci sono ormai carbone (…)».
In una delle pagine più vibranti del suo racconto autobiografico “Ma nemmeno malinconia. Storia di una vita randagia” egli coniugava il ricordo paterno con la memoria storica comune richiamando il dramma della miniera di carbone di Marcinelle, in Belgio. Esplosa nel 1956, aveva causato la morte di centinaia di persone, tra cui molti emigrati italiani. Il nero di quella storia lo ha ritrovato anche in Calabria, da dove tanti sono partiti alla volta delle miniere pure in Belgio.
A Reggio per presentare Kabul e Ma nemmeno malinconia
A Reggio Calabria, il grande inviato di guerra, è stato ospite del Rhegium Julii presieduto dal lungimirante e indimenticato mecenate che è stato Giuseppe Casile. In occasione dei suoi approdi in riva allo Stretto, portò anche qui il suo sguardo dentro la storia. Nel 2002 le cronache di “Kabul” e nel 2008 la sua vita randagia con “Ma nemmeno malinconia”.
Dopo aver letto il mondo visto attraverso i suoi occhi, nelle pagine di “Ma nemmeno malinconia. Storia di una vita randagia" abbiamo letto di lui.
Un flusso di memoria con cui aveva ripercorso la vita avventurosa del giornalista dedito alla realtà e ai fatti da riportare con precisione e meticolosità. Quella che si addice a chi è alla ricerca di particolari inediti, capaci di svelare aspetti nascosti della realtà e della storia.
La sua erranza dentro la storia
Inviato speciale del Corriere della Sera, Ettore Mo varcava la porta degli uffici londinesi di questa storico giornale dopo avere attraversato il mondo e avere vissuto le esperienze lavorative e umane più diverse.
Ettore Mo cameriere a Parigi, bibliotecario ad Amburgo, infermiere a Londra, insegnante di francese a Madrid, cantante, steward.
L'ultimo racconto con cui si chiude il diario è ambientato a Londra, capolinea della sua avventura e inizio di un altro viaggio. Qui il sonno lo aveva conquistato. Doveva essere stato l'effetto della guinness o del whisky Jameson ad essere dirompente, perchè, come lui stesso raccontava, erano sempre le sue gocce ad inebriare le notti degli irlandesi dell'Ulster. Notti che diventavano insonni in attesa che Sheila, la regina del faro, le sfiorasse con il suo fascino. Tuttavia egli si sarebbe svegliato perché a chiamarlo sarebbe stato un destino da grande reporter. Un destino che avrebbe compiuto, arricchendo il mondo.