Alle 5.15 di sabato 8 luglio il giovane era sdraiato a terra in un angolino verde sul lungomare della città pitagorica. Era chiaro che quello era stato il suo rifugio durante la notte. Un'immagine che richiama alla mente quando gli "stranieri" in cerca di futuro eravamo noi
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Lungomare di Crotone, sabato 8 luglio ore 5:15. Vedo un ragazzo che dorme per terra. Mi fermo. Lo guardo a lungo. Mi faccio tante domande. Mi chiedo: ma perché? Qual è la sua colpa? Non ho una risposta. Sarà perché è nato dalla parte ‘sbagliata’ del mondo? Ma lui non ha potuto scegliere la parte giusta. Il destino ha voluto così.
Lo guardo e penso che un tempo era la nostra, la parte sbagliata. I ‘neri’ eravamo noi. E scappavamo via dalla miseria: emigravamo in Svizzera, in Germania, nelle Americhe. Trattati come schiavi. Come si legge in questa testimonianza: «Mio nonno diceva che venivano trattati come veri schiavi, gente che non contava niente agli occhi del padrone. Alla sera la padrona della fazenda si recava in questi capannoni a recitare il Santo rosario e dava loro la buona notte, poi usciva e da fuori li chiudeva dentro con un catenaccio. La loro umiliazione continuava con la massima indifferenza».
Guardavo ancora quel ragazzo forse poco più che maggiorenne per terra, era chiaro che quella notte aveva dormito fuori, in quell’angolino verde sul bel lungomare di Crotone che sembrava quasi una culla! Alle 6, con il sole sorto già da mezz’ora, lui dormiva ancora. Sembrava tranquillo.
Dalla parte ‘sbagliata’ del mondo vivrà la mamma di quel giovane, e la famiglia, gli amici. Che quasi certamente convivono con la fame, la miseria, forse anche con la guerra. Fra dolore e disperazione. Ma il ragazzino è scappato via, come tanti tanti altri. Cercando un futuro.
Che faccio, lo sveglio? Avrei voluto farlo. Forse avrei dovuto, ma era come se lo disturbassi, perché sì, dormiva per terra, ma era così tranquillo! Ho pensato una cosa sciocca, lo so. Andai avanti. Come faccio sempre, continuando la mia passeggiata veloce sul lungomare all’alba. La città dormiva ancora. Solo in pochissimi eravamo sul lungomare, per godere l’alba, la bellezza del giorno che comincia, quel mare che non si sentiva nemmeno. Vedo i primi mezzi della raccolta dei rifiuti urbani. Alcuni puliscono e lavano i marciapiedi.
Ma i pensieri non mi lasciano: possibile che non c’è uno straccio di letto per quel ragazzino? Non dico un tetto, ma un letto. Era da solo. Poteva accadergli di tutto.
«Ma che colpa abbiamo noi!?», mi ha detto un amico al quale ho raccontato il fatto, mentre entravamo in un bar appena aperto. Già, che colpa abbiamo noi se l’ingiustizia domina nel mondo, se l’odio regna prepotente, se le guerre che insanguinano la terra aumentano sempre di più, e si fanno sempre più violente?
Cosa possiamo farci? Niente, tanto quel ragazzino, e come lui mille altri ancora, non è nostro figlio. Non è nostro fratello. Ed ha pure la pelle nera. Andando via dal bar chiedo due cornetti da portare via. Torno indietro e cerco il ragazzo che dormiva in quell’angolo verde. Glieli volevo lasciare per mangiare qualcosa non appena svegliato. Ma non l’ho trovato più.
Al suo posto un cane che faceva i bisogni. E il suo padrone che civilmente li raccoglieva. Affinché nessun passante si sporcasse le scarpe. Siamo brava gente, noi.