Francesco Olivieri, condannato per un duplice omicidio a Nicotera, sarebbe coinvolto nei disordini scoppiati sabato nella casa circondariale di Barcellona Pozzo di Gotto
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Indagini sono in corso da parte della polizia penitenziaria sulla rivolta avvenuta sabato da parte di alcuni detenuti dell’ottavo reparto detentivo della casa circondariale di Barcellona Pozzo di Gotto, sede dell’omonimo ex Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg). In particolare, i detenuti hanno dato fuoco a materassi e suppellettili. Tre i poliziotti rimasti intossicati. Nel reparto ci sono ancora detenuti con problemi psichici. Tra i coinvolti, anche Francesco Olivieri di Nicotera, detto “Cicko”, che nei giorni scorsi è stato condannato all’ergastolo dal gup del Tribunale di Vibo per duplice omicidio. Alla richiesta del pm, Francesco Olivieri, era andato su tutte le furie insultando pesantemente in aula il giudice Giovanni Garofalo ed il pubblico ministero Concettina Iannazzo.
Qualche settimana prima, in carcere a Cosenza aveva invece malmenato un agente della polizia penitenziaria al quale aveva anche spento una sigaretta in faccia. Ora, quindi, la nuova rivolta in carcere a Barcellona Pozzo di Gotto che lo vede ancora fra i protagonisti. Francesco Olivieri, detto “Ciko”, è stato ritenuto responsabile di omicidio aggravato dalla premeditazione per aver esploso a Nicotera l’11 maggio dello scorso anno tre colpi di fucile nei confronti di Michele Valerioti e Giuseppina Mollese, ferendo in precedenza altre tre persone in un bar di Limbadi.
Quando il 30 maggio scorso gli fu sentenziato l’ergastolo, Francesco Olivieri inveì contro il pubblico ministero e poi contro il presidente, minacciandoli persino di morte, arrivando poi a sfondare a calci la rete di separazione fra le due gabbie presenti nell’aula del Tribunale di Vibo Valentia. All’intervento degli agenti della polizia penitenziaria, Ciko Olivieri cercò di prendere ad uno di loro la pistola, strattonando anche i carabinieri e le guardie giurate intervenute. Una vera e propria furia, tradotta poi in carcere senza assistere all’arringa del suo difensore, Francesco Capria, che si concentrò sulle risultanze di una perizia medico legale finalizzata a dimostrare l’incapacità di intendere e volere. Richieste non andate a buon fine, attesa la sentenza di condanna all’ergastolo da parte del giudice.