’Ndrangheta

«Tutti i lavori nella zona di Vibo Marina erano gestiti dai Tripodi». Il monopolio della cosca di Porto Salvo nei racconti del pentito

Le dichiarazioni del collaboratore Giuseppe Comito alla Dda di Catanzaro. La faida con i Mancuso: «Se non ci avessero fermato non sarebbe rimasto più nessuno». La strategia di Colace: atti intimidatori per portare gli imprenditori dalla parte di Luni Scarpuni

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di Alessia Truzzolillo
2 settembre 2024
06:45

Secondo la Dda di Catanzaro la cosca Tripodi controllava le frazioni vibonesi di Porto Salvo, Vibo Marina, Triparni, Longobardi e territori limitrofi.
«Ricordo che tutti i lavori di sbancamento e movimentazione terra da effettuarsi a Porto Salvo e territori limitrofi erano appannaggio esclusivo di questo gruppo». A parlare è il collaboratore di giustizia Giuseppe Comito, detto U Canna, 49 anni, ex fedelissimo del boss Pantaleone Mancuso alias Luni Scarpuni. Comito è stato molto attivo, accanto ai Mancuso, nel corso della faida che questi hanno avuto contro i Piscopisani, gruppo vibonese giovane e rapace, tanto da essere stato condannato a 30 anni per l’omicidio di Francesco Scrugli e i tentati omicidi di Sarino Battaglia e Raffaele Moscato.

Oggi Giuseppe Comito collabora con la Dda di Catanzaro ed è stato ascoltato a lungo anche sulla figura di Salvatore Tripodi, 53 anni, capo della locale di Porto Salvo che nell’inchiesta che prende il nome proprio dal quartiere di Vibo Valentia, è accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsioni, omicidio.
Questo interrogatorio è oggi agli atti dell’inchiesta Porto Salvo che contempla anche quattro omicidi (Michele Palumbo, massimo Stanganello, Mario Longo e Davide Fortuna) che vedrebbero coinvolta la cosca dei Piscopisani e i loro sodali.


La ditta di movimento terra e il monopolio sui lavori pubblici

Racconta Comito – davanti al sostituto procuratore della Dda Andrea Buzzelli – che i Tripodi imperversavano, con la propria ditta di movimento terra, tra Porto Salvo e i territori limitrofi. Il titolare di un’altra ditta aveva raccontato a Comito che, intorno al 2006, «tutte le opere che interessarono in quel periodo la zona di Vibo Marina erano interamente gestite da loro». I Tripodi erano in rivalità con i Mancuso e vicini ai Piscopisani tanto che, nel loro territorio, lasciavano poco lavoro agli imprenditori considerati vicini ai Mancuso. In più, dopo l’alluvione che interessò Vibo, nei primi anni 2000, «negli anni a seguire venivano periodicamente appaltati lavori di pulizia dei fiumi e delle spiagge, che si sono sempre accaparrati i Tripodi».

I dipendenti del supermercato gestiti da Salvatore Tripodi

Il racconto del collaboratore sugli affari dei Tripodi prosegue segnalando attività di vario gestite dalla cosca: «Si occupavano anche del supermercato vicino alla nuova chiesa di Vibo, proprio difronte, sopra al quale abitava Raffaele Moscato (ex killer dei Piscopisani e oggi collaboratore di giustizia, ndr), un discount nella titolarità di una società di Napoli. Se ne occupavano nel senso che avevano dei loro parenti che vi lavoravano all’interno e che si occupavano loro dell’assunzione del personale, nel senso che se qualcuno voleva lavorare lì tutti sapevamo che bisognava andare a parlare con Salvatore Tripodi».

I soldi per controllare il supermercato

Secondo Comito, Tripodi avrebbe – seguendo uno schema classico della ’ndrangheta – dato denaro a un imprenditore per aiutarlo a risollevarsi, salvo poi controllarne l’attività.
Si tratterebbe, in particolare di un supermercato aperto «da un soggetto che in precedenza aveva una profumeria. Ricordo che il padre aveva un piccolo alimentari. Aveva avuto grossi problemi di soldi e rimanemmo tutti sopresi del fatto che, dal nulla, fosse riuscito ad avviare questa attività, finché venimmo a sapere che dietro ci stavano i Tripodi. Per questa ragione ricordo con precisione che un mese prima del mio arresto, Nazzareno Colace (parente di Comito e considerato braccio destro di Scarpuni) mi disse che dovevamo esplodere alcuni colpi di pistola a questo supermercato». L’intento di questo atto intimidatorio era quello di «portare il proprietario dalla nostra parte».

La strategia di Colace con gli imprenditori e l’intento stragista di Luni Scarpuni

«Nella sostanza – racconta Comito – Colace iniziò ad indicarci le attività economiche gestite di fatto da Salvatore Tripodi e dal suo gruppo, alle quali poi iniziavamo a fare danneggiamenti per spaventare i titolari in modo da convincerli a passare sotto di noi. Si tratta del periodo nel quale tutti avevano molta paura, in quanto vi era una faida in atto e Luni Mancuso voleva fare piazza pulita di tutti, intendo dei Piscopisani, dei Tripodi e di tutti i suoi avversari. Se non ci avesse fermato la legge posso assicurarvi che ad oggi non ci sarebbe rimasto più nessuno di loro».

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