Ci va giù pesante il pm antimafia Stefano Musolino durante la propria requisitoria del processo “Trash” che vede alla sbarra presunti boss e gregari della cosca De Stefano. L’accusa ha invocato, al gup Maria Rosaria Savaglio, la condanna dei 9 imputati che hanno scelto il rito abbreviato.

Le richieste

In particolare il pm ha chiesto che il boss Orazio De Stefano venga condannato a 13 anni di detenzione (in continuazione con una precedente sentenza). Per Paolo Rosario De Stefano invece, la Dda ha chiesto una durissima condanna a 30 anni di carcere. Per Paolo Caponera sono stati richiesti 24 anni mentre 18 per Giuseppe Praticò e 10 anni ciascuno per Andrea Saraceno e Andrea Giungo. Il pm Musolino infine, ha invocato la condanna a 6 anni di reclusione per Andrea Maviglia e a 5 anni, ciascuno, per Francesco Ferrara e Vincenzo Torino. 

L'inchiesta

Stando all’inchiesta “Trash”, gli interessi del clan di Archi si erano focalizzati sul settore della raccolta dei rifiuti, inserendosi nella “Fata Morgana”, la società mista creata ad hoc dal Comune della città calabrese dello Stretto e dichiarata fallita il 10 luglio 2012 proprio perchè secondo gli inquirenti, letteralmente "spolpata" dalla ‘ndrina. Il clan infatti, si era inserito nel lucroso settore dello smaltimento dei rifiuti, sia in seno alla società Fata Morgana, sia nelle società private dell'indotto ad essa collegato. Secondo la Dda reggina il sostanziale controllo della partecipata avveniva "attraverso il mantenimento di stretti rapporti dapprima accettati, poi imposti con modalità intimidatorie" con Salvatore Aiello, (dievenuto poi collaboratore di giustizia ndr) dirigente della partecipata pubblica sia con manager di ditte private. Il clan, egemone nella città capoluogo, imponeva il pagamento di ingenti somme di denaro a titolo di tangente e la scelta di fornitori compiacenti e l'assunzione di personale gradito alla "famiglia". E proprio ad Orazio De Stefano, latitante per 16 anni e catturato dalla squadra mobile di Reggio Calabria nel 2004, sarebbe stata delegata dalla famiglia l'infiltrazione del settore della raccolta dei rifiuti e la stipula di patti spartitori con le altre cosche coinvolte. Avrebbe impartito le direttive strategiche, incaricando il nipote Paolo Rosario De Stefano, a sua volta latitante per 4 anni e poi arrestato, il coordinamento e la direzione dei soggetti deputati a dare esecuzione alle strategie e ai patti spartitori. Paolo De Stefano avrebbe incontrato direttamente le parti offese, tra cui Salvatore Aiello, minacciandolo e riscuotendo il denaro estorto. Oltre a imporre le tangenti, secondo l'accusa, il clan ordinava la scelta di fornitori compiacenti e l'assunzione di personale gradito, tra cui lo stesso Caponera, Praticò ed altri sodali. Fra gli episodi contestati ai fermati, accusati di estorsione aggravata e continuata in concorso, quello di aver costretto "mediante violenza e minaccia", Salvatore Aiello a consegnare loro, a partire dal 2002, una somma pari a 1.000-2.000 euro circa per ciascuna commessa e, a partire dall'anno 2005, 15.000 euro mensili agli esponenti della cosca, oltre a concludere contratti con fornitori di beni e servizi ed ad assumere almeno sei persone. Sono state proprio le dichiarazioni rese da Salvatore Aiello, confermate dalle indagini svolte dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria a svelare, scrivono gli inquirenti, «le dinamiche criminali dello spolpamento della Fata Morgana S.p.a. da parte della 'ndrangheta, e più in generale delle infiltrazioni nel lucroso settore economico dei rifiuti che si regge su lauti finanziamenti pubblici, anche attraverso la creazione e gestione di società a partecipazione pubblica».

 

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