Clan digitali

TikTok collabora con Gratteri per pulire la piattaforma dai messaggi di mafia: «Non vogliamo essere megafono della criminalità»

I vertici europei del popolare social network hanno imbastito con il magistrato calabrese e il professore Antonio Nicaso, coautore del libro Il Grifone, una sinergia per scovare e bloccare minacce, pizzini e faide sul web

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di Alessia Truzzolillo
27 agosto 2024
06:30
Claudio Carobbio
Claudio Carobbio

Un tempo per dimostrare la fine di una faida e la riconciliazione tra due famiglie, i boss si facevano vedere insieme nella piazza del paese. «Oggi basta una foto su Tik Tok e chi deve intendere intende», spiega il professore Antonio Nicaso, storico delle organizzazioni criminali e uno dei massimi esperti di ‘ndrangheta al mondo.
«Oggi il digitale – dice – diventa esternazione per il controllo del territorio». È il nuovo sistema che la criminalità organizzata di tutto il mondo adopera per «comunicare con l’esterno».
Ma cosa si intende quando diciamo comunicare con l’esterno?
«Si veicolano messaggi quali lealtà, onore, fiducia», ci dice Nicaso che su questo tema ha scritto un libro, Il Grifone, insieme al procuratore di Napoli, Nicola Gratteri.

Un libro al quale si è affiancato il folto rapporto curato dal professore Marcello Ravveduto per la fondazione Magna Grecia che parla di «reality show delle mafie». E non è mai stato meno tenero sull’argomento il procuratore Gratteri che ha più volte lanciato l’allarme, definendo Tik Tok «la vetrina delle mafie».


L’incontro a Roma con i vertici di Tik Tok

Il messaggio, si apprende, è stato recepito dai vertici europei del social network che la scorsa primavera, a Roma, hanno incontrato gli esperti in materia: il professore Nicaso, il procuratore Gratteri, il professore Ravveduto e il presidente della fondazione Magna Grecia Nino Foti.

Con una delegazione in Italia e una parte collegata da Dublino, dove si trova la sede europea dell’azienda, i manager di Tik Tok hanno mostrato la volontà di fare pulizia sui messaggi veicolati dalle mafie. Hanno spiegato che Tik Tok è una piattaforma di contenuti e spesso è difficile effettuare uno screening sul mare magnum di informazioni che vengono pubblicate anche perché l’uso del dialetto o l’uso, volontario, di trascrizioni con errori di grammatica rende questi moderni pizzini difficili da intercettare per il sistema.

«36mila contenuti cancellati in una settimana»

Ad ogni modo Tik Tok ha manifestato la volontà di cancellare i messaggi postati dalle mafie e ha assicurato di averne già fatti fuori diverse migliaia tra foto, video e meme.
In un recente incontro a Montauro, il procuratore Gratteri, nel corso della manifestazione antimafia “Però parlatene”, ha raccontato che l’incontro a Roma è stato proficuo e che la piattaforma ha immediatamente creato un team di ingegneri informatici i quali, grazi a un software di intelligenza artificiale e all’individuazione di parole chiave specifiche «è riuscita a bloccare ben 36mila file audio e video in una sola settimana». Non solo. Raggiunto da LaC News24, il procuratore ha spiegato che Tik Tok ha chiesto la collaborazione e le segnalazioni degli esperti per migliorare questa lotta contro l'uso improprio delle mafie e quello che, si prospetta, sarà il contrattacco della criminalità.

I narco junior e l’uso dei social

«La generazione criminale dei nativi digitali – dice a LaC News il professore Nicaso – la cosiddetta google generation, i Chapito, i figli di El Chapo, i narco junior, loro si trovano sui social».
Accade anche in Italia dove di recente l’avvocato del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, Antonia Nicolini, ha dovuto denunciare alla Dda di Catanzaro la presenza di un video su Tik Tok in cui appare il suo assistito e altri tre collaboratori: Marco Raduano, ex boss della mafia del Gargano; Salvatore Privitera, catanese vicino alle famiglie di mafia Santapaola-Ercolano; Vincenzo Pasquino, ex broker del narcotraffico radicato a Volpiano ma legato alle cosche di Platì.
In alto la dicitura: «“Non reggono il carcere”. Chi sono i giovani boss che hanno deciso di collaborare». E poi il (cattivo) augurio: Hocu u vabbampa. Tradotto sta più o meno per: che il fuoco vi divori.

La faida di Ponticelli corre su Tik Tok

Ma anche la faida di Ponticelli, tutta in salsa camorrista, corre su Tik Tok. Imperante, come sempre, l’uso del dialetto e di un linguaggio sgrammaticato: «Sit stat capac e fa mettr e giubott e palumb. Giusto per ricordarvelo», hanno ironizzato i rivali del clan De Micco in un video su Tik Tok all’indomani di una “stesa” (ovvero un raid in cui si arriva in un quartiere in motocicletta sparando a casaccio). Al riparo da occhi investigativi indiscreti, le ostilità sono passate dalla strada sui social dove il gruppo emergente del rione De Gasperi pubblica storie si Instagram che restano on line per 24 ore mentre i De Micco rispondono su Tik Tok.

Oggi, però, la volontà dei vertici di Tik Tok – grazie all’azione pressante di professionisti come Gratteri, Nicaso, Ravveduto e Foti – potrebbe sottrarre terreno a pizzini digitali dei clan nativi digitali. «Vogliono evitare – dice Nicaso – che Tik Tok diventi il megafono della criminalità».

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