«Sì, ho ucciso io Mariella Rota». È una confessione piena quella giunta da Sicat Billi Jay, il cittadino filippino di 43 anni accusato dell’omicidio della tabaccaia brutalmente assassinata nel pomeriggio del 30 luglio a Reggio Calabria. L’uomo, difeso dagli avvocati Mariateresa e Demetrio Pratticò, ha raccontato al giudice che quel giorno non sarebbe partito con l’intenzione di far male alla donna, ma solo di spaventarla. La mannaia, dunque, doveva servire – nella ricostruzione dell’omicida – solo per incutere timore nella tabaccaia e convincerla che stava facendo sul serio. Ottenere i soldi senza spargimento di sangue e ripianare così quelle perdite derivanti dal vizio del gioco. Perdite la cui responsabile veniva individuata proprio nella vittima. La donna, però, sempre secondo il racconto dell’uomo – alle rimostranze dell’uomo, avrebbe reagito ridendogli in faccia. E sarebbe stato quello il momento in cui Sicat Billi Jay ha perso il lume della ragione affondando decine di colpi di mannaia sul corpo della povera 66enne.

Il cambio d'abito

Stando a quanto raccontato, l’assassino avrebbe avuto anche un credito di 3mila euro nei riguardi della proprietaria dell’esercizio commerciale. Quanto, invece, al cambio d’abiti – che testimonierebbe la premeditazione del delitto – l’uomo ha affermato di essere tornato a casa e, solo successivamente, aver cambiato i vestiti.

Atto d'impeto 

È chiaro, dunque, come Sicat Billi Jay intenda rappresentare l’omicidio come un atto d’impeto e non come un’azione premeditata e pianificata nel tempo. Certamente, la sua confessione mette una pietra tombale sulla responsabilità del fatto, confermando la bontà delle indagini della Squadra mobile reggina diretta da Francesco Rattà che, in pochissime ore, ha risolto il caso. Da rimarcare, però, come la ricostruzione degli investigatori, proprio in virtù del porto dell’arma e della presenza di vestiti di ricambio, miri a dimostrare come l’assassinio fosse premeditato.

 

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