Il ritorno in aula è fissato per il 6 luglio prossimo. In quella data, in Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria inizierà il secondo grado del processo ‘Ndrangheta stragista, procedimento sui mandanti degli attentati calabresi ai contro i carabinieri con cui i clan calabresi hanno detto sì alla trattativa Stato-Mafia.

Alla sbarra i boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, condannati in primo grado all’ergastolo. La sentenza della Corte d’assise è stata emessa il 24 luglio 2020, mentre nel marzo scorso erano stati presentati i ricorsi in appello dei legali dei due imputati, gli avvocati Giuseppe Aloisio per Graviano e Guido Contestabile per Filippone. In particolare, il difensore del boss del quartiere Brancaccio di Palermo ha contestato l'assenza di «riscontri individualizzanti» in merito alle dichiarazioni dei pentiti. «È evidente - scrive il penalista - come l'apporto dichiarativo dei collaboratori, in particolare da Spatuzza, Villani e Lo Giudice, caratterizzato dall'incostanza e dalla illogicità delle propalazioni, non abbia fornito al compendio probatorio alcun contributo dimostrativo, nell'ottica della colpevolezza e quindi del ruolo di mandante del Graviano in merito agli attentati reggini consumati ai danni dei carabinieri».

Secondo il difensore, infine gli elementi emersi nel corso del processo di primo grado «non potevano indurre la Corte ad affermare la penale responsabilità dell'imputato “oltre il ragionevole dubbio”».

Stando all'impianto accusatorio, che poggia le sue basi sulle indagini coordinate dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, quell'attentato rientrava nella strategia stragista di Cosa Nostra e 'ndrangheta contro lo Stato. Così come gli altri due agguati contro i carabinieri avvenuti in Calabria a cavallo tra il '93 e il '94 e per i quali Graviano è stato condannato assieme a Rocco Santo Filippone, ritenuto espressione della cosca Piromalli di Gioia Tauro.

Secondo quanto è emerso dalla sentenza di primo grado, però, non si sarebbe trattato però di una decisione di un capo o di un boss, ma– ed è questo il dato che emerge con prepotenza da un’istruttoria di oltre tre anni - dei vertici delle due organizzazioni. Graviano come espressione del direttorio che governava Cosa Nostra, Filippone, come emanazione dei Piromalli, delegato a rappresentare il «coso di sette» che rappresenta i tre mandamenti e determina le macrostrategie di tutta la ‘ndrangheta.

Una ricostruzione accolta dalla Corte d’assise di Reggio Calabria che ha deciso di condannare Graviano e Filippone all’ergastolo. Da quella sentenza si partirà, il 6 luglio prossimo, per l’inizio del processo d’appello.