Da una parte del tavolo c’è lui, Giuseppe Calabrò, killer riconosciuto dei carabinieri Fava e Garofalo; dall’altra c’è Marina Filippone, madre di Giuseppe, ma soprattutto sorella di Rocco Santo, oggi imputato per essere il mandante di quell’omicidio e degli altri attacchi agli esponenti dell’Arma. Si svolge quasi interamente su questa immagine l’udienza odierna del processo ‘Ndrangheta stragista, che vede imputato, oltre Filippone, anche il boss Giuseppe Graviano.

 

È tutta attorno ad un tavolo, dentro un penitenziario la scena cardine rivissuta e analizzata grazie alla precisa ricostruzione di uno degli uomini di punta della Squadra mobile di Reggio Calabria, l’ispettore Giuseppe Briguglio. Tocca a lui sviscerare le informative che riguardano i colloqui in carcere fra Giuseppe Calabrò e sua madre. Colloqui che svelano momenti di vita che fanno da specchio alle risulte investigative ottenute da polizia e carabinieri. Soprattutto in un punto: quello riguardante le soffiate che qualcuno fece al “Monaco”.

«Devi tornare indietro, tutto indietro»

Ma andiamo con ordine. Sono espressioni che i lettori di lacnews24 hanno imparato a conoscere già qualche mese addietro, quelle riecheggiate oggi nell’aula della Corte d’Assise reggina presieduta da Ornella Pastore. Solo poche settimane fa, infatti, raccontavamo di questi verbali in cui la madre di Calabrò, Marina Filippone invitava il figlio, con una certa veemenza, a ritrattare quanto era stato detto ai magistrati della Dda, solo pochi giorni prima, ossia il coinvolgimento dei suoi parenti in quella strategia della tensione che portò agli agguati ai danni dei carabinieri. Fu Calabrò a voler parlare con i magistrati; fu lui a convincersi che fosse arrivato il momento di dire tutta la verità. E, preso dalla paura di chi sa il peso delle sue parole, raccontò tutto d’un fiato di quel viaggio sulla Piana di Gioia Tauro, nella tenuta dello zio, quando ricevette l’incarico di uccidere i carabinieri. Poi, però, preso da un ennesimo rimorso di coscienza, per aver tirato dentro i suoi familiari, Calabrò mandò una missiva in cui ritrattava tutto quanto. Ed è proprio su quella lettera che si poggia la “difesa” del killer dagli attacchi veementi della madre che gli intima senza alcun problema e cosciente della possibilità di essere intercettata, che bisogna tornare indietro, tutto indietro» e che avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa e non creare più problemi. Un atteggiamento molto netto e senza fronzoli, quello della Filippone, evidentemente preoccupata per le ripercussioni che avrebbero potuto avere quelle parole per il suo prossimo congiunto.

Le soffiate riservate al Monaco

Ma è nel colloquio del 19 luglio 2014 che gli investigatori trovano altri interessanti elementi. L’ispettore Briguglio li illustra con pazienza, incalzato dalle domande del pm Giuseppe Lombardo, che non lesina interrogativi – anche minimi – per dare ai giudici la possibilità di comprendere ogni singolo passaggio delle informative.

Al minuto 50.10 del colloquio fra Calabrò e la Madre, l’ispettore segna un punto di rilievo: «La signora Filippone parla a voce bassissima, al punto che neanche il figlio capisce e lui quasi scocciato risponde che sicuramente non andranno più neanche a trovarlo mentre la madre aggiunge che per il resto si aggiusterò tutto». Calabrò spiega che secondo lui lo hanno fatto di proposito a mandarlo via da Bollate, la madre si dimostra seccata del suo comportamento e scuote la testa.

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Ed è poco dopo, ad un’ora, tre minuti e 38 secondi, che la Filippone, dopo aver nuovamente ricordato al figlio che la cosa più importante è che lui stia attento a quello che dice, svela un particolare d’interesse, affermando che la Finanza, «tempo fa è andata a prendere al comune il nome e cognome di tutti, il detenuto non capisce – spiega Briguglio – e la madre ripete che quando lui era in Sardegna, la Finanza è andata al Comune e ha preso il nome e cognome di tutta la famiglia loro. Calabrò allora chiede se siano andati prima o dopo e la madre risponde che pensa dopo, a questo punto, si alza e si appoggia al tavolo, fa avvicinare a sé il figlio per parlargli all’orecchio e dice: “Il Monaco ha un’amicizia con qualcuno e si è informato”, gli hanno detto che la Finanza è andata e ha preso il nomi di tutta la famiglia, ma ora non sanno cosa stanno facendo». Per i due alla fine gli investigatori non avrebbero nulla, ma ciò che salta all’occhio è che, nonostante tutti i possibili articoli di stampa, c’era qualcuno che informava direttamente la famiglia Filippone.

Il “Monaco” è proprio Filippone?

Quel che Briguglio non può dire, perché non si tratta di atti a sua firma, è che il “Monaco” cui fanno riferimento Calabrò e la madre potrebbe essere proprio Rocco Santo Filippone. Perché ? È lui stesso a dirlo nel corso dell’interrogatorio di garanzia. Ecco la parte che riguarda questo passaggio.

Pm: Senta, ma lei conosce qualcuno che è soprannominato il Monaco?

Filippone: Che mi chiamano a me!

Pm: Ah!

Giudice: Come mai voi avete detto che non avete un soprannome?

Pm: Ah, lei è soprannominato il Monaco! Ah, ho capito.

Filippone: E il Monaco che significa? Nom sapete, mi chiamano così da quand’ero ragazzo

Pm: E se lei legge l’ordinanza…

(…)

Pm: Perché la chiamano il “Monaco”

Filippone: Perché mi chiamano il “Monaco”? Mi chiamano il Monaco che ero ragazzo, quando ero ragazzo, che eravamo ragazzi, perché ognuno avevamo… e che significa ha uno?

Ovviamente Lombardo sa benissimo perché fa quella domanda. E il riferimento è ai colloqui in carcere fra Calabrò e la madre che avevano fatto cenno, nel 2014, al “Monaco” come colui il quale aveva delle amicizie. C’è qualcuno, dunque, che informò Filippone dell’attività posta in essere dagli inquirenti, tanto da sapere degli accertamenti della Guardia di Finanza? Di certo c’è che sia Calabrò che la madre erano parecchio preoccupati per le notizie stampa che uscirono in quei mesi. Ne parlarono molte volte, domandandosi cosa potessero avere in mano gli inquirenti. Domande alle quali non troveranno risposta immediata, sebbene lo stesso Calabrò, in un impeto di sincerità, disse: «Hanno tutto, sanno tutto». E non si sbagliava.

Consolato Minniti