Si apre il procedimento che proverà a fare luce sul naufragio in cui hanno perso la vita almeno 94 persone: «Tragedia figlia di un approcci politico che criminalizza i migranti»
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Si sta per aprire a Crotone il processo più atteso tra quelli relativi alla strage di Cutro. Questa volta alla sbarra, dopo le plurime condanne a scafisti, ci sono i sei militari della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera, accusati di naufragio ed omicidio colposo plurimo per i fatti avvenuti nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 a Steccato di Cutro, quando almeno 94 persone (quelle i cui corpi furono ritrovati) persero la vita dopo lo schianto del caicco Summer Love sulle secche crotonesi a pochi metri dalla salvezza.
E sono subito iniziate le dichiarazioni degli osservatori e stakeholders internazionali, come quella di Serena Chiodo, coordinatrice delle campagne di Amnesty International Italia: «Il processo che inizia è cruciale per accertare le responsabilità individuali. È importante sottolineare che il naufragio di due anni fa, l’ennesimo nel Mediterraneo centrale – che continua a essere la rotta migratoria più mortale al mondo – rientra in un quadro di responsabilità molto più ampio di quelle meramente individuali e che attengono a un approccio politico e normativo che ostacola chi tutela i diritti umani e criminalizza le persone migranti», ha dichiarato.
Amnesty International Italia che rinnova la richiesta di verità e giustizia per le 94 vittime accertate, tra cui 34 minorenni, provenienti da Iran, Afghanistan, Pakistan e Siria, e per i loro familiari. Le persone che hanno perso la vita nel naufragio di due anni fa hanno affrontato un viaggio lungo e pericoloso per fuggire da contesti di crisi e chiedere protezione internazionale, non avendo modo di farlo in sicurezza: e proprio l’assenza di canali di ingresso regolari e sicuri mina il diritto all’asilo.
«Chiediamo un cambio di rotta: per combattere davvero il traffico di esseri umani e tutelare realmente i diritti – aggiunge Amnesty - è necessario depenalizzare il reato di ingresso irregolare previsto dall’art. 10 del Testo Unico sull’immigrazione, garantire vie legali e sicure per chi fugge da conflitti, persecuzioni e contesti di crisi, e rimuovere qualsiasi ostacolo alle attività di ricerca e soccorso delle Ong, che proprio per il loro operato si configurano come difensori dei diritti umani», ha concluso Chiodo.