Cognomi pesanti e pedigree criminali importanti già da giovanissimi, ecco chi sono gli eredi delle più importanti famiglie di 'ndrangheta della Calabria
Spietati, senza scrupoli e giovanissimi: ecco chi sono i padrini della ’ndrangheta del futuro
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Risse, aggressioni e violenze, intimidazioni continue in tutta la zona di Cantù e paura di ritorsioni di "quelli di Africo". Così Giuseppe Morabito, detto Pascià, secondo le risultanze ricostruite dai pm Alessandra Dolci e Sara Ombra, controllava il territorio insieme ad un gruppo di suoi uomini che hanno seminato il terrore in tutta la zona. Il gruppo avrebbe iniziato a seminare il terrore in centro costringendo due locali a chiudere. I bulli legati ai clan, infatti, avrebbero cominciato a presentarsi nei locali, consumare senza però pagare, minacciare i clienti e, soprattutto, dare vita a risse e aggressioni contro gli avventori di quegli stessi locali. Il tutto - sospettano i magistrati - per poi offrirsi per rilevare i locali stessi ormai svuotati dai clienti a costo zero. Così quindi il giovane, allora residente ad Africo ma di fatto domiciliato in Piemonte, aveva esteso l'influenza del suo gruppo su tutta quella fascia del piemontese, nel nome del padre e soprattutto del nonno, il "Tiradirittu", mammasantissima tra i più importanti dell'intera storia criminale calabrese.
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Da tempo gli inquirenti si interrogano sull'escalation criminale nella Sibaritide. I tanti omicidi rimasti ancora senza colpevole, le intimidazioni e i moltissimi eventi criminali che si succedono in quell'area sono frutto di una nuova espressione di potere sul territorio: tra i nuovi esponenti delle famiglie degli "zingari" spicca Luigi Abbruzzese, figlio di Francesco Abbruzzese detto "Dentuzzo", uno dei capi più carismatici delle famiglie che controllano la Sibaritide. Abruzzese, ritenuto a capo della cosca ed arrestato nel 2018, nel 2015 fu coinvolto nell’operazione Gentleman su un presunto traffico di stupefacenti provenienti dal Sudamerica e che passando dall’Olanda arrivano poi nel cosentino. Nel processo scaturito dall’operazione del 2015 Abbruzzese è stato condannato a 20 anni, in primo e secondo grado, come capo di un’associazione di narcotrafficanti.
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Nelle organizzazioni criminali della provincia di Cosenza è raro che il potere sia tramandato di padre in figlio o in alternativa fra consanguinei. I clan locali, infatti, non sono strutturati su base familiare e, non a caso, quasi tutti i figli di boss e affiliati, attuali o del passato, non hanno intrapreso la stessa “carriera” dei loro genitori. Fa eccezione alla regola la cosca dei nomadi nelle sue due declinazioni: quella della città capoluogo e quella della Sibaritide. Fra gli zingari di Cosenza, infatti, si è registrata negli ultimi anni l’ascesa dei fratelli Luigi e Marco Abbruzzese, figli di Fioravante Abbruzzese, ovvero uno dei vecchi capi della consorteria criminale noto con l’appellativo di “Banana”. Nell’inchiesta della Dda di Catanzaro, Sistema Cosenza, Luigi e Marco Abbruzzese alias “Banana” sarebbero ai vertici di un'associazione criminale dedita al narcotraffico nell'area urbana di Cosenza e nella provincia.
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Un boss per stirpe, per discendenza familiare, che ha un nome pesantissimo che incute timore in tutta la Piana di Gioia Tauro: Teodoro "Teodorino" Crea ha solo 22 anni ma ha già un pedigree di tutto rispetto. È il nipote e porta lo stesso nome del ben più famoso Teodoro Crea, detto "il toro", boss che si muove in carrozzella e che è stato arrestato nel 2006 in una masseria di Castellace. L'arresto di Teodoro Crea, il nonno, fu seguito da una serie di attentati e fatti di sangue. Il nipote sarà arrestato invece insieme ad un'altra giovane leva della malavita calabrese, il giovane Rocco Molè, nell'inchiesta Nuova Narcos Europea.
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Due fratelli dall'elevatissima caratura criminale, nipoti del boss "Ass'i mazzi" che diede vita alla Sacra Corona Unita conferendo la Santa al suo fondatore, tengono ormai da tempo le redini del famosissimo casato di Rosarno. Umberto Bellocco, detto "Chiacchiera", porta il nome del nonno ed è un boss temuto e rispettato anche durante la sua detenzione in carcere, a Lanciano, dove ha intessuto secondo gli inquirenti alleanze trasversali con organizzazioni criminali in tutta Italia. Insieme a lui il fratello Domenico Bellocco, detto "Micu 'u longu", insieme al quale avrebbe intessuto trame in tutta Italia, tra le quali spiccherebbe una stretta collaborazione con il clan Spada di Ostia per i traffici di cocaina.
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Francesco Pesce è figlio del mammasantissima della cosca Antonino Pesce detto Testuni, ergastolano e boss della famiglia da almeno due decenni nonostante la lunga detenzione. Secondo le inchieste e le sentenze emesse negli anni scorsi, la cosca rosarnese fu retta per diversi anni proprio da lui, Francesco Pesce, detto Ciccio testuni, nonostante la giovane età. Dopo la sua cattura e quella dei suoi zii, il clan rimase senza guida. Francesco Pesce venne arrestato nell'ambito dell'operazione “All Inside” e venne condannato ad una pena pesantissima, venti anni, rideterminata poi dalla Corte di Cassazione in otto anni e dieci mesi.
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Sono nipoti di una delle più importanti famiglie criminali della 'ndrangheta, quella dinastia degli 11 che ha adesso in Luigi Mancuso un esponente tra i più importanti della 'ndrangheta calabrese. Giuseppe Mancuso, figlio di Giovanni Mancuso, oppure Domenico Mancuso figlio di Peppe 'Mbrogghia o ancora Giuseppe Mancuso, figlio di Pantaleone Mancuso detto l'Ingegnere sono i nuovi rampolli della famiglia che comanda su tutto il Vibonese e che secondo le indagini della DDA ha rapporti inconfessabili con il mondo delle imprese, con la politica e con i colletti bianchi calabresi e italiani.
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La sua è una storia che dice, più di molte altre, quanto sia forte il legame del sangue, del clan, della famiglia rispetto a tutte le altre cose. Rocco Molè, figlio di Girolamo Mommo Molè, ha una storia da film: alcuni anni fa aveva aderito al programma "Liberi di scegliere", che ha l'obiettivo di strappare i ragazzi alle famiglie mafiose di appartenenza. Eppure, il giovane non ce l'ha fatta a restare lontano dalla famiglia: tornato a Gioia Tauro, si è messo a capo di un'organizzazione internazionale di narcotrafficanti, secondo quanto emerso dall'inchiesta "Nuova Narcos Europea", coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, dalla quale è emersa la capacità organizzativa di Molè, che nel 2020 venne addirittura trovato in possesso di mezza tonnellata con panetti personalizzati con loghi e marchi diversi tra loro.
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È un padrino della nuova generazione, Antonio Piromalli. Investito del ruolo di capo dal padre Giuseppe, in carcere al “41 bis” ma in grado di dare ancora ordini, il giovane Antonio proprio per volere del genitore si stabilisce a Milano. È una strategia per poter curare al meglio i numerosi interessi imprenditoriali, mantenendo però il controllo del centro urbano di Gioia Tauro, grazie a quella filiera di comunicazione che gli consentiva di non perdere il contatto con la “madrepatria”. Il rampollo della famiglia ‘ndranghetistica della Piana era anche un personaggio in grado di ingerirsi nelle controversie private e imporre agli appartenenti al clan di restituire soldi e mettere fine a possibili discussioni. Secondo i magistrati della Dda, Piromalli era «il regista indiscusso delle attività di trasferimento fraudolento di valori e riciclaggio della cosca».
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È il nipote di uno dei più importanti e temuti boss della 'ndrangheta, il Supremo Pasquale Condello e secondo le risultanze investigative sarebbe il nuovo punto di riferimento del Casato di Archi. Raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nell'ambito dell'inchiesta Metameria (confluita poi nel processo Epicentro), regge le sorti del clan mantenendo un controllo asfittico sulle attività economiche reggine: in particolare i settori dell'edilizia e del turismo sono sotto uno stretto controllo anche grazie ad una rete compiacente di imprenditori che, secondo le forze dell'ordine, avrebbero anche garantito contributi al rafforzamento economico della cosca. Un giovane rampollo che ragiona con i codici della famiglia ma con un occhio pienamente calato nel presente e nel futuro, grazie agli investimenti in attività edilizie e di riciclaggio del denato sporco.
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Insieme a Giandomenico Condello è considerato uno dei nuovi vertici della cosca Condello. Demetrio Condello, detto Gingomma, è uno dei vertici di quel gruppo criminale che continua ad esercitare la forza su Reggio Calabria. Dal business delle slot machine al traffico di droga, Demetrio Condello è coinvolto in diverse inchieste della Dda reggina, che svelano come il gruppo fosse ancora egemone in gran parte del territorio reggino.
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"Tu non sai chi sono io? Sono Giovanni Tegano". Queste parole nel 2017 precedettero un pesantissimo pestaggio nei confronti di un altro giovane, che aveva la sola colpa di aver rimproverato l'erede del casato di Archi per la troppa velocità in auto sul lungomare. Questo è solo uno degli episodi che classifica il carisma e la sensazione di potenza che Giovanni Tegano, nipote del ben più famoso Giovanni Tegano coinvolto nelle guerre di mafia reggine, sprigiona sul territorio reggino. Considerato dagli inquirenti come un nuovo punto di riferimento, dalle carte delle inchieste e dalle risultanze dai social network emerse il suo ruolo come uno degli elementi di punta delle nuove leve, i cosiddetti "teganini". Per lui si aprirono le porte del carcere dopo che, ai domiciliari, continuò imperterrito a ricevere persone ed a dare ordini da casa.
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Un altro esponente delle nuove leve dei Tegano, figlio di Pasquale Tegano e definito dagli inquirenti come un personaggio con un carisma criminale “fuori dal comune”. È un personaggio centrale nel clan, con interessi (emersi dall'inchiesta Eracle) nel settore della movida cittadina e nel cmapo delle scommesse online, per come approfondito nell'operazione Galassia. Tegano junior avrebbe goduto negli anni di un «sistema di tutela della sua persona e dell’immagine, insita nell’autorevolezza criminale, emersa in relazione alla rissa presso il lido Mahè, insieme all’aggressività violenta e sprezzante, mostrata in quella occasione dal Tegano, nei confronti del personale della Polizia di Stato intervenuto. Risulta famosa anche l'estorsione ad un collaboratore di giustizia, al quale chiese secondo gli inquirenti ben 30mila euro per le “esigenze economiche” del padre ossia il boss Pasquale Tegano, detenuto in regime di carcere duro. Questa era «una pretesa non declinabile, né riducibile».
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Figlio illegittimo del boss "Don Paolino", nei suoi anni milanesi è diventato volto noto nel jet set, amico di influencer e calciatori. Giorgio Sibio Condello De Stefano (questo il suo nome completo), detto Giorgino, è stato condannato a 12 anni e 8 mesi nel processo Epicentro. Era diventato famoso per aver avuto un figlio dalla cantante e showgirl Silvia Provvedi (Le Donatella) che lo aveva soprannominato "Malefix" durante la sua partecipazione al Grande Fratello Vip.
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