La conversazione è allegata agli atti della recente operazione. Documenta l’avversione che certi ambienti criminali della Sibaritide nutrivano nei riguardi dell’allora governatrice calabrese (ASCOLTA L'AUDIO)
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Proprio ieri ministri e deputati ne hanno celebrato il ricordo a Montecitorio, ma in queste ore il miglior tributo a Jole Santelli arriva, forse, da Catanzaro. In particolare da un’intercettazione che certifica l’avversione nei suoi riguardi da parte di certi ambienti criminali. «Speriamo che muore sta ciota fricata». È il pensiero infelice che uno degli indagati della recente operazione antidroga eseguita nella Sibaritide le rivolge il 27 agosto del 2020. Parole non proprio da “Gentlemen”, il nome in codice assegnato all’inchiesta, ma foriere di un malaugurio che meno di due dopo, purtroppo, coglierà nel segno.
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All’esternazione, captata in modalità ambientale all’interno di un’auto, si fa accenno negli atti dell’inchiesta della Dda di Catanzaro. Perché l’uomo ce l’avesse così tanto con l’allora governatrice calabrese, è lui stesso a chiarirlo, partendo dal finale della storia: «A quest’ora dovevo essere dentro la Regione». Un'aspirazione non meglio precisata, la sua, che evidentemente la Santelli aveva fatto naufragare. Del resto, il presunto narcos mostra di essere in contatto con gli ambienti politici. Non a caso, a dare la stura al suo risentimento è la telefonata ricevuta poco prima da un ex consigliere provinciale di Cosenza. Anche quel dialogo è stato trascritto dagli investigatori, ma per il momento è coperto da segreto istruttorio.
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Di certo c’è che i due toccano l’argomento delle condizioni di salute dell’ex sottosegretaria alla Giustizia, come dimostra la domanda che il suo accompagnatore gli pone alla fine della conversazione telefonica: «La Santelli sta morendo?». Seguono le frasi shock accompagnate da altri epiteti e ingiurie. La vicenda in sé è irrilevante dal punto di vista penale, ma è sintomatica di un microclima riconducibile a quei giorni, quando l’eventuale uscita di scena della Santelli veniva vista da alcuni ambienti, criminali e non, come un’opportunità. Subito dopo la sua morte, avvenuta il 15 ottobre del 2020, il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, non ebbe alcuna remora a definirla «persona perbene e onesta». Di sicuro, aveva già presente il contenuto di questa intercettazione. L’ultimo riscontro alle sue parole, anche il più triste.