“Mettersi a posto” e “aggiustarsi” le frasi utilizzate per far capire alla vittima che doveva pagare il pizzo. Nel mirino anche le assunzioni effettuate dal Centro per l'impiego di Vibo
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Estorsioni in varie modalità ma tutte con un metodo mafioso ben preciso. Quello di agevolare gli interessi della cosca di appartenenza operante in provincia di Vibo Valentia. La nuova inchiesta della Dda di Catanzaro, coordinata dal procuratore capo Nicola Gratteri, prende in esame diversi argomenti. Tra questi vi sono richieste estorsive, che i presunti appartenenti alla cosca di Mileto avrebbero attuato anche ai danni di un ristoratore. In questo caso, le pressioni sarebbero state perpetrate affinché l'attività commerciale ricevesse la "protezione" dei presunti 'ndranghetisti.
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Il verbo magico per far intendere alla vittima che doveva pagare il "pizzo" era "aggiustarsi", un modo per "mettersi a posto", tipica frase utilizzata da chi fa parte di sodalizi mafiosi dediti ad attività estorsive. Ma in questo caso, dire "aggiustarsi" o "mettersi a posto" non significava posare sul tavolo una cifra congrua tenendo in considerazione i "desiderata" dei presunti mafiosi vibonesi, bensì quello di costringere la persona offesa ad offrire loro gratuitamente la cena appena consumata, quale corrispettivo da questo dovuto alla criminalità organizzata di Mileto.
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L'estorsione a una ditta
Dalla "cena offerta" a un'estorsione vecchio stile. Nel caso in esame parliamo di una richiesta mafiosa ai danni del titolare di un'impresa impegnata in una serie di lavori sul territorio, tra i quali la ristrutturazione della Scuola di Polizia e del Cimitero della frazione Longobardi, strutture decadenti del comune di Vibo Valentia. Lavori che sarebbero quindi finiti nel mirino della 'ndrangheta vibonese, la quale avrebbe costretto la parte offesa a versare loro una somma di denaro non meglio determinata a titolo estorsivo, per la quale rispondono tre persone divise tra le presunte cosche di Mileto e quelle di Vibo Valentia.
Nel mirino anche le assunzioni
La criminalità organizzata di stampo mafioso aveva interesse a condizionare le procedure di selezione del personale da impiegare presso le società che si rivolgevano al centro dell'impiego di Vibo Valentia. Mediante violenza e minaccia, gli indagati coinvolti nel capo d'imputazione, avrebbero avvicinato il responsabile dell'ufficio, rappresentando la necessità che uno dei due inquisiti venisse assunto in una società. Inoltre, avrebbero intimato la vittima a provvedere alla pubblicazione di un bando per il reclutamento, presso la stessa società, di un un dipendente con disabilità di almeno il 75% e di dirottare eventuali altri partecipanti altrove. E anche in questo, utilizzando il linguaggio 'ndranghetistico, la persona offesa si sarebbe dovuta "mettere a posto".