Patitucci e il suo luogotenente intercettati parlano di una imminente operazione contro le cosche bruzie: «Ci sono 250 indagati e pure politici»
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Se lo scorso primo settembre il fragore delle sirene e il ronzio degli elicotteri hanno colto di sorpresa quasi tutti i cosentini, quelli a essere meno stupiti, probabilmente, sono stati proprio i presunti confederati della malavita bruzia. Se l’aspettavano da tempo un blitz delle forze dell’ordine, e ciò emerge in modo abbastanza nitido da diverse conversazioni intercettate durante le indagini.
L’ombra delle spie
Come facevano a sapere? Bella domanda, alla quale però l’inchiesta della Dda guidata da Nicola Gratteri non associa alcuna risposta. Almeno per ora. Non è chiaro se anche in questa vicenda siano destinate a trovare posto figure tristemente note – e purtroppo ricorrenti – come le cosiddette talpe, in divisa e non. Certo, però, che sullo sfondo se ne intravede l’ombra. Non tanto per i timori sull’imminenza di una retata che emergono da quei dialoghi, giacché un epilogo così poteva essere percepito dai diretti interessati anche sulla scorta di semplici deduzioni. Del resto, l’ultima operazione antimafia in città risaliva a otto anni prima. Troppi a ben vedere, e a questo si aggiunge una considerazione scontata: solo pochi dei pentimenti registrati dal 2014 in poi erano stati fin qui capitalizzati dalle Procure con indagini e arresti. Era nell’aria insomma, e per comprenderlo non c’era bisogno di scomodare informatori in divisa. Bastava la logica.
Il boss dà i numeri
La precisione di certe informazioni in possesso degli indagati, però, brilla di luce sinistra. Quando il primo agosto del 2020 Francesco Patitucci riceve la visita di Sergio Raimondo, tra una chiacchiera e l’altra il padrone di casa si lascia andare così: «Ci dovrebbe essere un blitz grosso. Grosso, grosso. Duecento, duecentocinquanta indagati. Ci sono pure dei politici». Alla fine, com’è noto, gli indagati saranno duecentocinquantaquattro, centonovanta le misure cautelari. E poi sì, ha ragione lui: ci sono pure i politici.
Il presagio di Rende
Si dirà: il boss improvvisa, tira a indovinare. E quindi non c’è nessuno spione. Possibile, ma solo due giorni più tardi, il 3 agosto, i poliziotti captano un altro dialogo premonitore che alimenta sospetti di segno opposto. Seppur giovanissimo, Michele Rende è degli uomini di maggior fiducia di Patitucci, sospettato di essere attivo soprattutto nel settore della droga e delle estorsioni. Anche lui, a colloquio con un amico, ammette di sentir tintinnio di manette, ma la prende con filosofia: chi fa la loro vita, riflette, deve rassegnarsi all’idea di essere arrestato «ogni quattro o cinque anni». A suo avviso, «è proprio una legge». Poi però aggiunge qualcosa di più scottante.
Il segreto della piramide
«Ma è vero che c’è questa operazione?» gli chiede l’interlocutore. A domanda risposta: «Sì sì, è attendibile perché pure a me l’ha detto un amico che è dentro». Rende chiarisce che si tratta di qualcuno che sta partecipando alle indagini sui clan cosentini, un uomo in divisa che inquadra come «nu fitusu», ma che gli avrebbe svelato uno dei temi più segreti dell’inchiesta: l’idea che la Dda si è fatta sull’assetto della nuova confederazione. «Dice che hanno una piramide» sostiene, e fa riferimento a un «Lui» – si tratterebbe di Patitucci – che gli investigatori «lo portano alto», mentre la sua posizione sarebbe quella di un quadro «medio». Della serie: sputa per terra che indovini.
Una mezza verità
Capitava anche di sbagliare. O di azzeccarci solo a metà, come accaduto il 27 maggio, sempre del 2020. Quel giorno la moglie di Patitucci, Rosanna Garofalo, ha notizie, apprese tramite il passaparola, di un’imminente operazione di polizia e ne rende edotto il marito. Lui la esorta a contattare una serie di persone – «Sasà, Renato, Antonio» – per capire se anche loro abbiano avuto informazioni al riguardo, e poi si mette personalmente a caccia di conferme o smentite. Verso le nove di sera può brindare allo scampato pericolo. «All’ordinaria» sussurra alla consorte, e quando la donna gli chiede di spiegarsi meglio, il boss chiarisce: «Cosenza… non Dda». Gli investigatori rilevano che 48 ore dopo, nella città dei bruzi, cinque persone saranno arrestate per estorsioni e usura a seguito di ordinanze emesse dal gip presso il Tribunale ordinario del posto.