Si tratta dei sette imputati coinvolti nell’inchiesta Take away. Il proprietario del locale, sito a Reggio Calabria, aveva dato ad un dipendente uno stipendio di 750 euro invece degli 800 pattuiti
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Sono stati tutti condannati gli imputati coinvolti nell’inchiesta “Take Away”. Il
gup distrettuale di Reggio Calabria Pasquale Laganà ha inferto cinque anni e quattro mesi di reclusione a Francesco Belfiore, cinque anni a Massimiliano Polimeni, quattro anni e sei mesi a Bruno Scaramuzzino, mentre per Giuseppe Surace e Pietro Surace la condanna ammonta a tre anni e sei mesi. È di tre anni di carcere la pena comminata invece, a Bruno e Domenico Natale Surace. Regge quindi al vaglio del gup l’impianto accusatorio sostenuto dal pm antimafia Roberto Di Palma. Gli imputati erano accusatori, a vario titolo, quelle di sequestro di persona e tentata estorsione, reati aggravati dal metodo mafioso.
Nello specifico il gruppo, secondo quanto ricostruito dagli agenti della Squadra Mobile, avrebbero sequestrato il gestore di una pizzeria per estorcergli del denaro. Il fatto risale alla sera del 30 dicembre scorso quando la compagna della vittima, proprietaria dell’esercizio commerciale, richiede l’intervento delle forze dell’ordine perché pochi attimi prima aveva visto il suo compagno essere prelevato di forza, e contro la sua volontà, da alcuni soggetti. La vittima infatti, dopo essere stata trascinata in auto, secondo l’accusa, e oggi anche secondo il gup, da Francesco Belfiore, Massimiliano Polimeni e Bruno Scaramozzino, verrà condotta a Pellaro, quartiere alla periferia sud di Reggio, in casa di Giuseppe Surace dove erano presenti anche gli altri arrestati oggi. Al gestore della pizzeria era stato chiesto il pagamento di 500 euro come estorsione perché non aveva saldato 50 euro al suo dipendente. L’uomo, aveva pattuito con Giuseppe Surace, arrestato nel blitz, lo stipendio di 800 euro, ma gliene aveva dati solo 750. “Mancavano” solo 50 euro, ma il gruppo ne voleva altri 500. Una estorsione in piena regola compita anche attraverso minacce di morte e il “richiamo” alla ‘ndrangheta. Il tentativo estorsivo non andrà a buon fine poiché quando la vittima verrò finalmente riaccompagnata in pizzeria la presenza sul luogo della Polizia farà desistere i presunti estortori dal loro piano. Francesco Belfiore, si era definito infatti , il “capo di San Cristoforo”, quartiere alla periferia del città. Un’azione criminale in piena regola eseguita con violenza e modalità tipiche della ‘ndrangheta.
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