Il caso

Sant’Anna Hospital, la Cassazione chiude la partita sugli oltre 17 milioni chiesti all’Asp di Catanzaro: «Crediti non dovuti»

La Suprema Corte conferma la bontà della sentenza d'Appello: «Infondata la richiesta per prestazioni sanitarie eccedenti». Il caso finito all'attenzione della Corte dei Conti, già costato una condanna alla clinica privata

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di Luana  Costa
23 giugno 2023
18:24

L’Asp di Catanzaro nulla doveva alla clinica privata Sant’Anna Hospital. È la Corte di Cassazione a mettere la pietra tombale su un contenzioso che dura da quasi vent’anni e che ha dissanguato le casse dell’ente sanitario per effetto del meccanismo perverso della cessione dei crediti e delle procedure esecutive azionate in maniera seriale.

Crediti non dovuti

La Suprema Corte ha, infatti, rigettato il duplice ricorso proposto dalla clinica privata e da Opera Spv, la società di factoring a cui il Sant’Anna ha ceduto i crediti poi effettivamente riscossi attraverso plurime procedure esecutive azionate contro l’istituto tesoriere dell’Asp e mai opposte dai funzionari dell’ente sanitario. Crediti quantificati dal nucleo di polizia economico finanziario della Guardia di Finanza di Catanzaro in oltre 17 milioni e mezzo di euro, oggi definitivamente dichiarati non dovuti.


Condannati alle spese 

Granitica la pronuncia emessa nei giorni scorsi dalla Cassazione che spegne ogni residua aspettativa sui crediti milionari. La Corte ha rigettato il ricorso principale avanzato dal Sant’Anna e dichiarato inammissibile quello di Opera Spv, condannando entrambe al pagamento delle spese processuali quantificate in 12mila euro. L'Asp di Catanzaro, difesa dall'avvocato Luciano Maria Delfino, aveva depositato una lunga memoria per opporsi alle richieste giudicate «oggettivamente del tutto prive di pregio giuridico».

La commissione prefettizia

Nei fatti, si conferma la bontà della sentenza emessa nel 2017 dalla Corte d’Appello di Catanzaro che aveva dichiarato cessata la materia del contendere e sulla cui base si era fondata l’azione di recupero intrapresa dalla commissione prefettizia, all’epoca insediata ai vertici dell’Asp dopo lo scioglimento dell’ente per infiltrazioni mafiose.

La scure della Corte dei Conti

E sfociata nel 2021 in una azione di responsabilità contabile avviata dalla Procura della Corte dei Conti, costata poi una condanna per danno erariale nei confronti della clinica privata in solido con l’ex legale rappresentante, Rosanna Frontera. Il contenzioso ha origine nel 2004, quando il Sant’Anna Hospital avvia una causa contro l’Asp di Catanzaro per vedersi riconosciuti presunti crediti derivanti da prestazioni assistenziali erogate in regime di extra-budget.

Il contenzioso infinito

Nel 2012 arriva la prima sentenza del Tribunale di Catanzaro che vede l’Asp e la Regione Calabria soccombere, condannati entrambi in solido al pagamento di 16 milioni di euro. Nel 2014 la clinica privata cede il credito alla società di factoring che pignora le somme, senza colpo ferire, direttamente all’istituto tesoriere attraverso plurime procedure esecutive, benché quei crediti fossero non dovuti come confermerà nel 2017 la Corte d’Appello dichiarando, non a caso, cessata la materia del contendere.

Partita chiusa

Una sentenza che trova conferma nell’odierna pronuncia della Corte di Cassazione che ha rigettato i ricorsi delle due appellanti. «In tema di attività sanitaria esercitata in regime di accreditamento, è sempre infondata la domanda di pagamento delle prestazioni sanitarie eccedenti il limite di spesa formulata dalla società accreditata nei confronti dell'Asl e della Regione» si legge nella ordinanza firmata dalla Corte lo scorso martedì.

Nessun obbligo

«La mancata previsione dei criteri di remunerazione delle prestazioni cosiddette "extra budget" è giustificata dalla necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa e il vincolo delle risorse pubbliche disponibili; sicché la struttura privata accreditata non ha l'obbligo di rendere prestazioni eccedenti quelle concordate» chiudono così la partita i giudici di piazza Cavour.

Limite di spesa

Infondato il secondo motivo addotto, ossia l'ingiustificato arricchimento dell’Asp. Secondo la Cassazione: «Era (ed è) risolutivo per affermare l’inesistenza della condizione dell’azione di arricchimento che l'azienda sanitaria, comunicando alla struttura accreditata il limite di spesa stabilito per l'erogazione delle prestazioni sanitarie, manifesta implicitamente anche e proprio la sua contrarietà a una spesa superiore».

L'imposizione dell'extra budget

«Pertanto, l'arricchimento che la pubblica amministrazione in genere (o l’Asl nello specifico) consegue dall'esecuzione delle prestazioni "extra budget" assume un carattere "imposto", che preclude l'esperibilità nei suoi confronti dell'azione di ingiustificato arricchimento» concludono i giudici.

Giornalista
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