Il professionista arrestato nel corso dell’operazione della Dda contro le cosche vibonesi viene descritto come «totalmente asservito ai clan». Sarebbe stato così legato al boss di Limbadi da fargli anche da autista. Tutti gli episodi ritenuti cruciali dall’accusa (ASCOLTA L'AUDIO)
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Non un semplice avvocato difensore, ma «un soggetto totalmente asservito ai desiderata dei clan». Utilizza parole impietose il gip per delineare la figura dell’avvocato Francesco Sabatino, uno degli arresti eccellenti eseguiti nell’ambito dell’inchiesta Maestrale-Carthago. Al riguardo, però, il giudice non ha dubbi: su di lui ci sono indizi così «gravi, precisi e convergenti da non lasciare spazio ad alcuna perplessità».
«Lui e Luigi Mancuso sono la stessa cosa»
Il professionista è accusato di aver travalicato più volte il mandato difensivo, agendo quasi come un membro della cosca Mancuso. Gli investigatori lo hanno tenuto d’occhio a lungo, tanto da approntare poi un elenco completo delle sue condotte che i magistrati definiscono «esorbitanti». Sabatino, tanto per dirne una, sarebbe stato solito assumere la difesa di affiliati del gruppo criminale non su richiesta dei diretti interessati o dei loro familiari, bensì su input dei boss o di altri esponenti del clan. Nel corso del tempo, si sarebbe prodigato a dare loro consigli su come evitare intercettazioni e collaborazioni con la giustizia, in un caso avrebbe assunto lui stesso la difesa di un affiliato a rischio pentimento proprio con il compito di farlo desistere dal suo intento. Dulcis in fundo, è sospettato di aver passato loro informazioni su inchieste giudiziarie in corso e attività d’indagine ancora riservate, prestandosi anche a portare pizzini dentro e fuori dal carcere. E poi le cene. Quella del 21 febbraio 2018 con un Giuseppe Antonio Accorinti allora sottrattosi all’arresto e dunque fresco di irreperibilità nonché altre, nello stesso periodo, con Luigi Mancuso. A quest’ultimo era talmente legato che, secondo un suo collega di toga, anche lui intercettato, «aveva preso a fargli da autista». Riguardo al suo rapporto con il capocrimine, però, la sintesi più desolante e anche più spietata arriva da un pentito, Emanuele Mancuso: «Luigi e Sabatino sono la stessa cosa».
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«C’è un grosso problema a Vibo con gli avvocati»
Le captazioni raccontano di un avvocato che s’intrattiene con i suoi clienti in modo ritenuto troppo «colloquiale e confidenziale», il grosso delle accuse è concentrato nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Il figlio di Luni Mancuso ne è certo: «Sabatino parlava con noi di tutte le questioni che riguardavano la mia famiglia». In particolare, per tenerli aggiornati, avrebbe messo a loro disposizione tutti i fascicoli relativi a operazioni eseguite nel Vibonese, tanto che a un certo punto «c’erano più fascicoli a casa mia che in tribunale». Sul punto, però, Emanuele Mancuso allarga il tiro. Parla di fascicoli processuali che «A Vibo girano come i giornali». E poi mostra di aver studiato, conosce il significato della parola deontologia. E infatti aggiunge: «C’è un grosso problema deontologico degli avvocati a Vibo». Non è l’unico a puntare il dito contro di lui. Il suo ex collega Francesco Stilo riferisce che «andava a riscuotere i crediti di Andrea Mantella quando lui era impossibilitato». In una circostanza, avrebbe persino spostato un chilo di cocaina da Mileto a Santa Domenica di Ricadi.
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«Quando arrivava in carcere era una festa»
Proprio Mantella ne parla ancora con malcelato entusiasmo: «Quando arrivava lui in carcere era festa in quanto sapevamo le notizie che provenivano da fuori». L’ex boss sostiene di aver stabilito con lui un rapporto di grande complicità, a partire dal linguaggio criptico a base di codici e segni convenzionali che utilizzavano durante i colloqui. Quand’era ristretto in carcere, proprio attraverso l’avvocato sostiene di aver mandato un messaggio ai compari in libertà per dire loro di procedere con l’estorsione alla ditta che eseguiva i lavori all’ospedale di Vibo. E non solo. «Prenda questa caramella» gli aveva detto un giorno Sabatino, sempre durante un colloquio dietro le sbarre. E non certo perché il suo cliente ne fosse ghiotto. «Quindici o venti minuti dopo sono stato male e sono andato in ospedale. La speranza era quella di riuscire a ottenere i domiciliari, ma non ci siamo riusciti».
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«Lei non sta facendo l’avvocato»
Addirittura, quello che allora era il suo legale di fiducia lo avrebbe fiancheggiato in un tentativo rocambolesco di evasione. Mantella era ai domiciliari in attesa di un Tribunale della libertà che stava per determinare il suo ritorno in cella. Presagendo il peggio, il futuro pentito mette in conto di «buttarsi latitante». In quel caso, Sabatino gli avrebbe suggerito di «simulare un malore ai testicoli», salvo poi sovrintendere lui stesso al ricovero di Mantella nell’ospedale di Tropea per accertamenti tumorali in realtà fittizi. Il vero obiettivo, infatti, sarebbe stato quello di agevolarne la fuga. «Intorno alle tre-quattro di notte entrò nella mia stanza e mi disse: “Andiamo andiamo andiamo, che stanno arrestando a tutti”. Stavamo scappando, ma arrivati all’ingresso del reparto ci hanno fermato due poliziotti. Hanno chiesto all’avvocato come mai si trovasse lì a quell’ora e, accortisi che ero vestito per andare via, hanno capito che non poteva trattarsi di un colloquio». Quella notte, uno dei due agenti - nei ricordi di Mantella «un ispettore» - si rivolge a Sabatino in termini epocali: «Gli disse che lui era un avvocato, ma che in quel momento non stava facendo l’avvocato. Lui rispose che io ero un suo cliente e dato che si trovava sul lungomare di Tropea era venuto per un aggiornamento, ma l’ispettore gli disse di andarsene perché non stava facendo l’avvocato».
«Qua succede un macello, con Gratteri non si scherza»
In “Maestrale-Carthago” Sabatino è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. I suoi comportamenti, secondo il gip, sono «fortemente indicativi del suo ruolo stabile all’interno delle cosche», manca, però, un elemento che provi la sua precisa volontà di farne parte. Si sarebbe spinto così oltre, dunque, solo per «acquisire un numero sempre maggiore di mandati difensivi per accrescere il volume degli affari professionali». Ora si trova ristretto in carcere in attesa dell’interrogatorio di garanzia. Un epilogo che, sempre a detta di Emanuele Mancuso, il diretto interessato aveva messo in preventivo. Il pentito, infatti, ricorda un colloquio con altri pregiudicati in costanza di un’operazione eseguita dalla Dda di Catanzaro. «Si parlava del più e meno, dicendo che da quando era arrivato Gratteri stava succedendo il panico. Tutti temevano il dottor Gratteri (…) e l’avvocato Sabatino, ricordo che lui sudava e diceva: “Qua succede il macello, con questo non si scherza”. E aveva il timore che potesse coinvolgere anche lui nelle successive indagini».