La latitanza preventiva e l'intervento del presunto boss per risolvere la situazione. Al centro della vicenda Nicola Mammone, vicino a Cosimo Maiolo che è considerato come il mammasantissima della locale di Pioltello ed è stato condannato nei giorni scorsi nel processo milanese contro l'omonimo clan
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Dalla periferia milanese alle campagne della Locride. Una fuga di 1200 km da Pioltello a Caulonia per sfuggire alle conseguenze di un furto di droga fatto alle persone sbagliate. Una fuga precipitosa nel tentativo di nascondere le proprie tracce a chi, in Lombardia come in Calabria, lo braccava per sapere di quel carico di hashish e di cocaina sparito da un garage di Pessano con Bornago - comune ricadente nell'area della Città metropolitana di Milano - e sequestrato, poche ore dopo, con un blitz della mobile, nella tavernetta di una villetta a schiera in Brianza. Un ritorno al paese seguito passo passo dagli inquirenti e che è finito al centro del processo monzese alla cosca Maiolo, concluso in primo grado nei giorni scorsi con 10 condanne per quasi un secolo di carcere.
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Il furto della droga
Al centro di questa vicenda, monitorata fin dall’inizio dagli investigatori della mobile, c’è un carico di 46 chili di hashish e quasi 3 chili di coca il cui sequestro era stato sospeso in attesa di eventuali sviluppi. L’uomo chiave, dicono le carte, è Nicola Mammone (condannato a 4 anni e otto mesi), underdog orbitante nel clan di Cosimo Maiolo (12 anni e 8 mesi), il boss originario di Caulonia considerato come il mammasantissima della locale di Pioltello. È lui il punto di contatto con il proprietario del garage dove è stipata la droga per conto di un altro clan che opera in Lombardia. È Mammone ad avere le chiavi del box ed è sempre a Mammone che Salvatore Maiolo (figlio del boss, condannato in primo grado a 10 anni e 10 mesi) si rivolge per mettere all’opera un piano che sembrava perfetto e che invece scatenerà una caccia all’uomo fino alla paciosa Caulonia, casa madre, sua malgrado, di una cosca capace di mettere le mani anche sul trasporto delle salme vittime del Covid e sulle elezioni comunali di Pioltello.
È il 4 marzo del 2020, il piano per accaparrarsi del carico è semplice. In pieno giorno, con l’aiuto di altri due complici (i fratelli Fabio e Gaetano Ferrara), Maiolo e Mammone raggiungono il box nel comune di Pessano con Bornago e, approfittando del fatto che l’area sia deserta a quell’ora, aprono il garage e trasportano il carico su un furgone, destinazione casa di Ferrara, nel vicino comune di Carugate. Appena venti minuti per un colpo che frutta, oltra al carico di droga da rivendere, anche un discreto gruzzolo in contanti (circa 20mila euro). Quello che i 4 complici non sanno è di essere sotto controllo della polizia, che quel furto lo segue in diretta.
La fuga a Caulonia
Quando, qualche ora dopo il “colpo”, gli uomini della mobile fanno irruzione a casa di Gaetano Ferrara sequestrando la droga e il denaro, Mammone su suggerimento del suo amico Maiolo, cerca di giustificarsi con l’uomo che ha appena derubato cercando di veicolare su altri i sospetti. Ma il gioco non regge e, dopo un viaggio in auto a Barcellona, lo stesso Mammone “sparisce” dalla Lombardia per cercare rifugio a Caulonia.
«Vedi che io devo mancare qualche mese e non ho il telefono – dice durante il viaggio alla moglie che lo aspetta in Calabria chiamandola da una cabina telefonica – ho avuto problemi, al massimo poi ti scrivo, mi faccio sentire io… che ti devo dire? Quando fai qualcosa, ehh alla fine ti capita». E qualcosa era capitato visto che nella casa cauloniese di Mammone qualcuno era già andato a bussare. «Mi ha detto quello con gli occhiali di chiamarlo, che tu sai» gli confida la moglie. Impaurito dalla situazione, raccontano le carte, Mammone raggiunge comunque Caulonia dove si sente maggiormente al sicuro e lì si nasconde per mesi, in una sorta di latitanza preventiva. Neanche i parenti stretti sono a conoscenza della presenza del fuggiasco in Calabria, anche perché sempre più persone chiedono insistentemente dove sia finito. «Devi dirglielo – fanno sapere alla moglie di Mammone – devi dirgli di chiamare quello là perché io adesso aspetto ancora un po’, poi dopo la gente inizia a muoversi e poi… devi dirgli “Niky ti dà ancora un mese di tempo, dopo un mese però… io so già dove trovarlo, so i posti dove andava e sono cazzi suoi dopo, io più ragionevole di così non posso essere”».
L’intervento del boss
Ci vuole l’intervento diretto del boss Cosimo Maiolo (e la vendita da parte di Mammone di una casa a Torino a parziale ristoro del danno) per sanare una situazione ormai degenerata e che vedeva in mezzo anche il figlio dello stesso Maiolo, che di quel colpo era stata la mente. Il boss infatti, conoscendo i veri proprietari del carico di droga, non era d’accordo con il furto: «Mi hanno messo nella merda – dice Maiolo intercettato in un dialogo con la moglie – Quelli non sapevano che poi tra l’altro è un amico… dopo che fanno le minchiate mi vengono a piangere mi scassano la minchia a me. Se venivi, io sapevo, non toccate là che sono amici. Ma… io gliela ho aggiustata… per non avere problemi».